(in seguito da "L’eco della montagna e "Helga")


Carlo

L’inverno fu particolarmente duro e cadde molta neve anche in pianura. Castelvecchio si specchiava, al tramonto di un sole invisibile, in acqua d’ardesia, monocroma e molto triste. I tavolini all’aperto, davanti ai caffè, erano stati ritirati tutti, perché nemmeno il tedesco più ostinato avrebbe osato prender posto senza riparo per ammirare, standosene seduto, i millenni che l’Arena si porta addosso come un vestito perenne, insensibile alle mode.
Helga non aveva rinunciato alle sue quotidiane passeggiate. Abituata ai rigori della montagna, vissuti nella sua casetta prospiciente il lago, lassù immersa nel bosco, non aveva paura del clima freddo cittadino. Buona parte del pomeriggio le apparteneva completamente; al di là della scuola non aveva né obblighi, né impegni. I suoi genitori erano morti da anni, a poca distanza l’uno dall’altra; i suoi fratelli abitavano lontano e li vedeva raramente..
Un vita metodica la sua. Lezioni il mattino, minuziosamente preparate nei pomeriggi precedenti; correzione dei compiti; riunioni a scuola; spese al supermercato con una lista puntigliosamente scritta, anche se comprava sempre le stesse cose; controlli dal dentista due volte l’anno; rari acquisti di vestiario; abbonamento a teatro; visite regolari in libreria e biblioteca.
A parte qualche raffreddore, non ricordava di essersi mai ammalata, nemmeno le malattie dell’infanzia l’avevano importunata; non si era mai ubriacata, sebbene non fosse astemia; non aveva mai ecceduto in nulla. Una bottiglia di essenza profumata (da vent’anni sempre quella stessa marca!) le durava all’infinito, perché detestava dare nell’occhio, sobria fino all’esasperazione e ormai sempre più persuasa che l’eccesso di virtù fosse un grave difetto. Ma non poteva farci nulla. Andava prendendo sempre più consapevolezza del fatto che Sandro si fosse annoiato per la sua piattezza, per la sua mancanza di emozioni dimostrate all’esterno e di voglia e capacità di cambiare almeno pettinatura, se non idee importanti, nella vita.
Lo aveva rivisto, per la prima volta dopo l’abbandono, dentro un negozio a fare acquisti, e aveva fatto finta di nulla, sperando di essere passata inosservata. Gli era al fianco una bionda molto alta e vistosa.
«Com’è banale la vita! – pensò – tutto si sta svolgendo come nel copione di una dozzinale pièce teatrale, una di quelle che nemmeno i filodrammatici più scalcinati vorrebbero più recitare. La storia di un uomo di mezz’età che lascia una sua coetanea per mettersi con una vamp da strapazzo e che – cosa ben più grave – mi costringe a considerazioni tanto acide, lontane dalla normalità del mio temperamento.»
Insomma, provò più risentimento che dolore.
Il dolore lo aveva rimosso, lasciandolo tutto o quasi nell’amato cottage, lassù in montagna.
***
Un paesaggio limpido, di primavera piena, l’accolse gioioso al suo arrivo sul monte.
Dai prati fioriti esalava un profumo delicato e il lago ammiccava fra i pini, lanciandole occhiate di luce, amichevoli e rassicuranti. Aveva sempre avuto Helga un rapporto intimo e personalizzato, con la natura circostante.
Stava per oltrepassare la casa del vicino, che non aveva mai più visto dopo quel fortuito incontro al caffè, quando si sentì chiamare per nome a gran voce.
Questo atteggiamento confidenziale le piacque.
Aveva un modo tutto suo di pronunciare la elle interna di Helga, che – fra le sue labbra – assumeva una sfumatura insinuante che mai prima le era capitato di udire.
«Finalmente sei arrivata! Conosco il tuo nome, ma penso tu non ricordi il mio. Mi chiamo Carlo.»
Anche nel pronunciare Carlo, la stessa consonante interna prendeva un tono particolarmente stuzzicante, che le fece battere le ciglia, come se avesse visto quanto stava semplicemente udendo.
Carlo era certamente più giovane di lei di una decina d’anni.
La maglia a maniche corte lasciava vedere i muscoli delle braccia, arti più da montanaro che da scrittore. Aveva una figura vigorosa, e – a dire il vero – emanava vigore da tutta la sua persona.
«Ti aiuto a scaricare i bagagli?»
«Non ho portato molto. Non scomodarti.»
«Così ho la scusa per entrare in casa da te…»
Helga sorrise, mentre si lasciava aiutare, felice di averlo nuovamente incontrato.
Il suo nuovo amico si chinò, con naturalezza, ad accendere il caminetto.
«Dopo tanti giorni di chiusura, la casa è umida, anche se fuori fa abbastanza caldo.»
Scesa dalla stanza dove era andata a riporre il bagaglio, trovò già la caffettiera sul fuoco, mentre l’aroma intenso si diffondeva nella stanza.
Il suo modo di fare, sicuro, senza preamboli, le piacque.
«Questa casa ti somiglia. Qui devi vivere molto bene. Un tempo avevi un compagno, ma non ti chiedo nulla, se ti fa male parlarne…» 

Grazia Giordani



 

18 responses to this post.

  1. buona domenica e buona lettura
    g*

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  2. Bello, davvero bello! Anche se Helga è una metodica che non dà smalto alla sua persona, è una donna di classe, cultura e sani valori. Mi piace Carlo, chissà… attendo con ansia il seguito della vicenda.
    Buon pomeriggio cara Grazia, ti lascio un abbraccio pomeridiano e ti ringrazio per questa piacevolissima lettura.

    annamaria*

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  3. Tutti gli scrittori vorrebbero lettori attenti e generosi come te, Annamaria*, che – a tua volta – sai scrivere con intelligente garbo.
    Abbraccio stretto, amica gentile.
    Grazia*

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  4. grazie per la tua visita. Nei prox giorni vengo a leggere let tue
    belle storie.
    Buona serata anche a te e un saluto
    Lilla

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  5. Grazie a te, Lilla.
    Ti aspetto.
    Grazia

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  6. Perspicace il Carlo
    Procede bene, curioso di vedere il seguito…

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  7. Grazie, Alice.
    Molto bella la protagonista di "Shakespeare in love".
    ‘Notte.
    g*

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  8. Sì, Wolf, perspicace e reticente Carlo, come spesso sanno esserlo gli uomini…
    Grazie da Grazia*

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  9. Mi rivedo un po’ in lei. Ora mi leggo ciò che ho perso, perché scrivi davvero bene!
    Buona serata 🙂

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  10. Il divino ha un’enigmatica bellezza

    L’evoluzione è un’ interpretazione
    inesprimibile e soggettiva
    della teoria potenziale 
    dell’odissea

    L’odissea è un viaggio 
    che si compie da soli 
    come la vita stessa 

    E’ la solitudine dell’individuo
    che attraversa
    infiniti spazi interstellari 
    circondato dall’abbacinante 
    silenzio del cosmo personale

    L’alba dell’uomo 
    non ha una conoscenza 
    e così sopravvive di stenti
    fino al nuovo giorno 
    dove l’oggetto della conoscenza
    il monolite 
    diventa la mutazione della conoscenza
    dell’intelligenza soggettiva
    in sopravvivenza oggettiva
    ovvero le armi
    orali e verbali

    Così l’uomo viaggia nel tempo
    esercitando il suo rapporto
    tra potere e prevaricazione di violenza

    E da vittima che era
    diventa carnefice di se stesso
    e del suo luogo di vita

    Il monolite da segnali di vita
    la vita diventa anche macchina
    la macchina si crede infallibile
    possiede un’anima come l’uomo
    l’uomo che ha un sentimento
    ha timore di distruggere
    un’intelligenza artificiale

    La macchina muore come l’uomo
    ma l’uomo va oltre l’infinito

    La saggezza è nel dubbio
    e non nella soluzione
     
    Aenima

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  11. Grazie, Anneheche.
    Sei gentilissima.
    ‘Notte, cara.
    g*

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  12. Versi molto profondi, Aenima.
    g*

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  13. .. qui riconosco bene il tuo stile inconfondibile.. E’ davvero molto bello.
    Buonanotte e un caro abbraccio,
    Alidada

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  14. Contraccambio di cuore, Licia
    g*

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  15.  C’è un’aria di primavera nel racconto che circola anche nell’incontro col primo lui. Attendo il seguito. Un saluto 

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  16. Grazie, Saonda.
    Allora, a presto.
    g*

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  17. ‘Notte a voi tutti.
    g*

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