Archive for giugno 2012

Vacanza

Sono in vacanza.

Saluto tutti gli amici con affetto.

grazia

Cesare Catà all’ “Antica Rampa” di Badia

Se ci sono autori capaci di affascinarci di qualunque argomento parlino (dall’immortalità dell’anima alle avventure di Minnie e Topolino), tra costoro brilla il giovane studioso Cesare Catà che l’altra sera all’”Antica Rampa” caffè letterario di Badia Polesine, ci ha incantati parlandoci del suo nuovo saggio Filosofia del fantastico (Il Cerchio, pp.356, euro 25).Il trentenne autore – che già avevamo apprezzato nella serata delle follie shakesperiane –  ci ha offerto ancora una volta prova del suo saperci far agevolmente navigare dentro il mare della filosofia che – attraverso le sue parole – si fa sempre più acqua ammaliante e piena di sortilegi. Nonostante la giovane età, Catà vanta pubblicazioni di pregio, tra cui citiamo due fra le tante: Pespicere Deum. Nicholas of Kues and the European art of Fifteenth Century (2009) e Narcisismo e Apocalissi in William Shakespeare. Studio su Riccardo II, in procinto di uscita.Acutamente, osserva fra l’altro in prefazione all’opera, l’editore Adolfo Morganti, quanto sia appropriato il titolo, seppur “periglioso” incline a definire ‹‹oggetto e metodo di questo suo appassionato atto d’amore verso la sapienza della cultura popolare della terra che l’ha visto nascere, crescere ed interrogarsi.(…) Filosofia come – filologicamente – amore per la sapienza. L’importante, leggendo questa definizione, è buttar via i filosofi- professori di filosofia, su cui anche Schopenhauer appuntava il meglio della sua ironia (eppure non viveva all’alba del XXI secolo . . .)››Leggendo le belle pagine di questo studioso, traduttore e autore di testi teatrali, ci regaliamo un insolito viaggio dentro il significato profondo della fantasia come evasione e non fuga dalla realtà, in sintesi dell’entrata nell’essenza dell’universo fantastico, popolato da creature fatate figlie dell’immaginario umano. Godiamo, quindi, dell’illusione di una magica scalata montana, partendo dalle strabilianti leggende dei marchigiani Monti Sibillini – luogo magico, per eccellenza –  spingendoci fino all’incanto dell’Isola d’Irlanda per giungere nella tolkiana Terra di mezzo, quella del Signore degli anelli.E  le analogie tra le tre terre sono stupefacenti e motivate dalla colta e appassionata ricerca dell’autore.Suggestivo excursus quello che ci offre Catà, capace di legare con un tanto sottile quanto solido fil rouge le storie di Fate tramandate nei Monti Sibillini alle leggende irlandesi, studiate da W.B. Yeats e ai personaggi di Tolkien, solleticando sempre più la nostra curiosità nei confronti di quel mondo “invisibile agli occhi”, vera essenza della psiche umana. Superfluo sottolineare che cultura e chiarezza in questa scrittura si legano in stretto matrimonio, inducendoci a riflettere, sognando e rammaricandoci – soprattutto incuriositi dagli aneddoti e dalle citazioni dell’autore –  che la Grotta della Sibilla sia rovinosamente franata, suscitando in noi il rimpianto di doverla visitare solo attraverso il prezioso varco della fantasia. (Grazia Giordani)

Il rumore del tempo

SE STALIN NON FOSSE

CLASSICI. Esce da Adelphi «Il rumore del tempo e altri scritti», la narrativa del 1923-1925 del grande poeta russo
I capolavori di Mandel’stam descrivono gli anni prima del terrore rosso che lo travolse. C’è già una belva ma «della letteratura» e il furore è tutto di creatività

03/06/2012

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Veramente prezioso il volume di Adelphi con Il rumore del tempo e altri scritti di Osip Mandel’stam (209 pagine, 19 euro, a cura di Daniela Rizzi). Il libro comprende anche Teodosia e Il francobollo egiziano, oltre ad altre pagine dell’autore. Gli scritti sono degli anni 1923-1925. La narrazione è apertamente autobiografica e abbraccia quell’arco temporale che va dall’infanzia all’adolescenza, aprendosi con i primi ricordi, collocabili attorno alla metà degli anni Novanta del XIX secolo, e si conclude nel momento in cui l’autore inizia a scrivere versi. È la Russia dei fermenti rivoluzionari ma che non sa ancora di piombare nell’era staliniana che sarà fatale all’autore, destinato a scomparire nei gulag. Intento di Mandel’stam è riprodurre il «rumore» dell’epoca, quel concerto di suoni lievi o altisonanti, armoniosi o discordanti, ma sempre evocativi che fanno da fondale alla sequenza dei fatti biografici e ne rappresentano in un certo senso la trama, anche se non ce n’è una vera e propria. Rapsodica e discontinua, metaforica fino all’estremo, è uno dei più alti esempi di quella prosa assoluta che ha contrassegnato la letteratura novecentesca. «La mia memoria non è amorevole, ma ostile e lavora non a riprodurre, ma a eliminare il passato. Il raznocinec», il piccolo borghese russo spesso evocato da Mandel’stam, «non sa che farsene della memoria, gli basta raccontare i libri che ha letto e la sua biografia è bell’e pronta. Là dove per le generazioni fortunate parla l’epos in esametri e in cronaca, là per me c’è il segno dello iato e tra me e il secolo c’è una frana, un fossato, pieno d’un tempo rumoreggiante». L’epoca ci viene così offerta per ritratti, testimonianze, luoghi e persone, con il sense of humour tipico delle persone intelligenti. Mandel’stam cita episodi, personaggi ed eventi, raccontandoli in brevi, incisivi paragrafi. Così ci ritroviamo a Pietroburgo e ci mettiamo a cercare «la belva della letteratura», ma non tardiamo ad accorgerci che Gipius insegna in realtà «il furore letterario». Sentiamo il suo ruggito, visto che «dagli altri testimoni, egli differiva proprio per quella rabbiosa meraviglia. Aveva un atteggiamento belluino nei confronti della letteratura, come verso l’unica fonte di calore animale. Si scaldava alla letteratura sfregandosi ad essa con il suo pelo». Incontriamo Sergej Ivanyc in grado di dettare in una settimana, senza riprendere fiato, 135 pagine sulle cause della caduta dell’impero romano, eroe, costui, in egual misura posseduto dal demone della rivoluzione e da quello della cioccolata («Se Sergej Ivanyc si fosse tramutato in un puro logaritmo delle velocità astrali o in una funzione dello spazio, non mi sarei meravigliato: egli doveva uscire dalla vita, a tal punto era una chimera»). Splendide pagine ci parlano della libreria della prima infanzia dell’autore: Puskin, Lemontov, Dostoevskij, su cui vigeva un ferreo divieto, mentre tutto Turgenev che invece era permesso. E qui l’autore sa trasportarci oltre, fuori dal limite dai libri, facendoci volare alto con la sua fatata penna. Atmosfere di Crimea in Teodosia e clima surreale ne Il francobollo egiziano, dove la prosa si fa danza e dove il protagonista Parnok è a tratti alter ego dell’autore, a tratti un epigono de Il Sosia di dostoevskijana memoria, rivisitato con penna mirabilmente allucinata e visionaria. Assoluto capolavoro.

Grazia Giordani

Pubblicato domenica 03/06/2012 nei consueti quotidiani