I racconti di Grazia Giordani ( Pelle di ramarro, Il Cerchio) sono brevi lampi letterari che della letteratura conoscono a fondo la lezione: il valore della parola accuratamente scelta, il ritmo che non indugia, il dosaggio misurato e controllato delle situazioni e dei dialoghi, la seduzione degli incipit.
Sono racconti capaci di suggerire atmosfere, in una sinestesia continua fra elementi visivi e uditivi, per cui le voci, in Dissolvenza, sono luminose, “brillano nel buio” secondo fasci di diversa intensità, per poi disfarsi in opalescenze, fino a diventare ‘interiori’, in diretta comunicazione con il sentire.
C’è una tale corrispondenza fra il dentro e il fuori dei personaggi che basta all’autrice intagliarne con pochi tratti carattere e fisicità per farli continuare a vivere nei pensieri di chi legge.
A questo scopo la scrittrice ne consente addirittura brevi fuoriuscite surreali, perché abbiano vita al di fuori dei romanzi, da lei precedentemente scritti, ed entrino nei suoi racconti. E’ quanto succede a Ginevra, protagonista del romanzo Signora a una piazza, che rivendica una libertà d’azione fuori dai confini del libro in cui è nata per animare anche uno dei racconti più imprevedibili, Frenesia.
Basta questo esempio per capire che i racconti di Grazia non sono mai la cronaca che ripercorre semplicemente un accaduto, non hanno l’azione al centro della trama, ma, di volta in volta, racchiudono un gioco di wit, un guizzo di ingegno creativo, di invenzione letteraria che spiazza il lettore con una svolta improvvisa della narrazione: a volte è un paradosso (come un amore che resta nelle chiose ai margini di una pagina, o come una seduzione affidata ad una fotografia o a una voce), a volte è l’intreccio  metafisico dei sentimenti, metafisico proprio perché va oltre i limiti della realtà, ne intacca la solidità, e lascia intravvedere una dimensione che si alimenta di ricordi, di relazioni postume e di affinità elettive.
A volte è un incontro, predestinato o casuale,  sempre un colpo d’ala del destino che  non diviene banalmente motore di una felicità, ma di un rovesciamento, di un cambiamento che segna: una tangenza che non necessariamente si prolunga in storia, ma in cui qualcosa di entrambi i soggetti resta reciprocamente impresso nell’altro, in forma ora di nostalgia, ora di rimorso, ora di inquietudine irrisolta.
L’incontro non è soltanto un motivo ricorrente: è la sintesi, tradotta in elemento tematico, di un modo di leggere il flusso delle cose; ci dice quanto la vita sia uno sfiorarsi casuale di esistenze, dentro a un caleidoscopio di combinazioni  continuamente in movimento.
I racconti di Grazia accolgono con eleganza questa imperscrutabile oscillazione e  la traducono in possibilità.
Per questo, spesso, le storie narrate valicano i limiti di una conclusione ed hanno  bisogno di dilatarsi in finali diversi, in cui l’autrice  riprende o continua  il racconto, in armonia con la complessità della vita.
A segnalare quanto, in essa, tutto possa svolgersi in più modi, alterni e divergenti, seguendo le strade dell’ amore e  del disamore, della realtà e del sogno, dell’essenza e dell’apparenza, della fine e dell’inizio.

Zena Roncada