(Ph. Paolo Aguzzoni)
Se volessimo far conoscere il Polesine in maniera classica ed ovvia, basterebbe sfogliare un testo storico-geografico e non ci sarebbe bisogno del nostro intervento. Quello che ci prefiggiamo, non è di percorrere un viaggio tradizionale, piuttosto è la voglia di spilluzzicare qua e là notizie curiose ed inedite, inerenti questa lingua di terra stretta e lunga, detta Piccola Mesopotamia, in quanto compresa dal liquido abbraccio di Adige e Po.
Insisteremo su Badia, punto di riferimento dell’Alto Polesine, perché chi vi sta scrivendo abita qui e ne ha quindi colte le voci e l’atmosfera in maniera più intima e personale, proprio perché anche le città hanno un’anima. Ovvio sottolineare che il nome Badia (Abbadia) deriva dalla millenaria Abbazia della Vangadizza, volutamente non ci perderemo in date e riferimenti storici, regalando al fruitore uno spicchio del fascino romantico che emana da questi storici ruderi, dall’abside intatta, dal magnifico chiostro che ci fa sognare un ellittico soffitto di cielo. Un monumento che andrebbe visitato con due anime: quella di chi cerca la pura bellezza, contrapposta a quella dello storico che qui di storia potrebbe farne una vera scorpacciata. E la promessa curiosità? Inerisce le due arche, i due sarcofagi esterni che dovrebbero, ma chissà se è vero, ancora contenere i resti mortali di Azzo e Cunegonda d’Este che – in quanto imparentati con la casa reale inglese -, per anni hanno visto un messo inviato dalla Regina Elisabetta, portare un mazzo di rose bianche, in memoria dell’antichissima cuginanza. Proseguendo con le curiosità, nell’omonima via, potreste vedere (solo vedere, perché è ormai cadente e in fase di eterno restauro) il tardo quattrocentesco Palazzetto degli Estensi. Nelle notti di tempesta, dicono si veda, attraverso le elegantissime trifore, fluttuare il velo bianco di una dama d’Este. Gli scettici sostengono si tratti solo di volgarissime tele di ragno. Chissà ?
Dulcis in fundo una super chicca è il Teatro Sociale, ora intitolato al badiese, celebre nel mondo del giornalismo, Eugenio Balzan. Costruita nel 1812, questa bomboniera d’oro, è la prodigiosa miniaturizzazione della Fenice di Venezia. E non ha subito incendi, a differenza della sua celeberrima “madre” veneziana. In compenso, ha subito un trentennio di restauro dei restauri. La mangeria politica, in Italia, non fa più effetto a nessuno.
Anche le “Torri Marchesane” sono un’altra curiosità. Semisepolte nell’acqua vorticosa dell’Adige, sprofondano e riemergono in parte, a seconda dei capricci del fiume, creando un effetto di fatamorgana. Per non farsi mancare nulla, Badia non si contenta dell’Adige che ha figliato l’Adigetto. E ha altri bellissimi palazzi cinquecento-settecenteschi.
A nove chilometri circa da Badia, incontriamo Lendinara – detta l’Atene del Polesine – per la sua prestigiosa eleganza architettonica, per l’atmosfera raffinata che si respira in questa aristocratica mini città, dove i nobili veneziani soggiornavano spesso negli anni antichi, lasciando in eredità agli abitanti la mollezza della parlata veneta, quella elle francese che fa tanto veneziano doc. A Lendinara c’è anche una Madonna nera, assicurano assai miracolosa. E la curiosità ? La splendida Chiesa di Santa Sofia vanta uno dei campanili più alti d’Europa, sormontato da uno svettante angelo che – caduto a causa di un fortunale- fu rimesso in sede da un elicottero americano.
Poco distante c’è Fratta Polesine, patria di Giacomo Matteotti, gremita di ville gentilizie di raro valore, fra cui brilla Villa Badoer, detta la “Badoera”, stupefacente gioiello del Palladio. Qui non ci sono curiosità, solo quintessenza di bellezza.
Rovigo, il capoluogo, vanta una chiesa, “la Beata Vergine del Soccorso” – edificata al cadere del Cinquecento – fra le più belle d’Italia, detta “La Rotonda”, completamente pavesata all’interno da pitture ad olio, come Palazzo Ducale a Venezia, arricchita da un preziosissimo organo del Callido. E anch’essa ha la sua curiosità che consiste nella caduta della cupola (evidentemente l’architetto non aveva la perizia del Palladio). Ed è stato proprio questo “difetto” a regalarle un tondeggiante charme.
Molti altri luoghi andrebbero nominati, non ultima Adria che ha dato il nome al mare Adriatico, minuscola Venezia in sordina, ma abbiamo fretta di correre in Basso Polesine, più malioso della Camargue. Qui una natura incontaminata ci ammalia per flora e fauna che danno il benvenuto al delta del Po. Perché qui è il vero Delta, non a Ferrara, come erroneamente i più credono.
Perché il Polesine è così poco noto, quasi misconosciuto, a parte le alluvioni di dolorosa memoria? I motivi potrebbero essere molteplici. Quando Venezia era già la Serenissima, il Polesine era “pollicium”, ossia terra paludosa, quindi è partito in ritardo nei confronti delle regali consorelle, per cui basterebbe citare Verona e Vicenza, per capire cosa intendiamo. Ma non è solo una questione di tempi ritardati, il problema sta nel carattere un po’ rinunciatario, diffidente del “foresto”, complessato. Suvvia, polesani alzate il mento che molta bellezza abita anche a casa vostra.
Grazia Giordani