Archive for febbraio 2017

L’altro figlio

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IL LIBRO. Neri Pozza propone l’esordio letterario dell’americana Sharon Guskin: un romanzo originale e coinvolgente

Il ricordo di Noah: se riaffiora una vita precedente

Grazia Giordani

«L’altro figlio» dall’inizio alla fine gioca sulla suspense e apre scenari misteriosi e sorprendenti

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lunedì 20 febbraio 2017 CULTURA, pagina 49

Sharon Guskin, con il suo primo romanzo «L’altro figlio» (Neri Pozza, pp. 352, 18 euro, traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani), offre al lettore un plot narrativo carico di intelligente suspense, dall’inizio all’epilogo, veramente inaspettato.Janie, architetto newyorkese, è una madre single che ha avuto il piccolo Noah da un fugace incontro con Jeff, incontrato durante una vacanza a Trinidad. La protagonista non era nuova a relazioni senza seguito, il cui piacere principale le derivava dal parlarne con la madre al telefono. New York è la tipica città tentacolare dove gli abitanti sono degli sradicati, perché è la vita convulsa che li conduce a questo . E l’autrice sa tradurre nella pagina questa sensazione diffusa, in maniera speciale. Noah è un bel bambino che dimostra subito un’intelligenza precoce, dotato di «un cervello miracoloso che sembrava captare informazioni ovunque».La madre, presa da questo suo eccezionale figlio, divenuto lo scopo della sua vita, lo ricopre di coccole e cure, dedicandogli con amore la maggior parte del suo tempo. L’attaccamento madre/figlio è del tutto reciproco.La situazione si complica da quando il piccolo ha incubi notturni, crisi di pianto e narra alla madre storie così ricche di particolari, da far sorgere il dubbio che non siano invenzioni, ma realtà veramente vissute dal bambino.Ad aggravare i dubbi e le ansie della madre, ci si mette anche il maestro elementare che convoca Janie per raccontarle un fatto inquietante.Il bambino gli avrebbe confidato che ci sono persone che gli usano violenza, tenendogli la testa sott’acqua. Ecco perché Noah teme tanto l’acqua, da rifiutarla anche per semplici abluzioni. La situazione si fa oscura per la madre che resta impaurita da queste stranezze. Su richiesta degli insegnanti, il bambino viene sottoposto ad una perizia psichiatrica che darà una svolta inaspettata alle esistenze di madre/figlio.Per il terapeuta Jerome Anderson, professore di psicologia, specialista nella materia di bambini che si ricordano di vite passate, la vita si è fermata molto tempo prima.Premettiamo che per entrare nel milieu di un romanzo costruito come ha saputo farlo la Guskin, si deve amare anche il surreale. Dopo la morte della moglie, e la terribile diagnosi di afasia primaria progressiva, un tipo di demenza che colpisce il linguaggio, lo psicologo ha deciso di abbandonare le proprie ricerche sulla vita dopo la morte.Quando incontra Noah, sente di essere vicino ad una grande scoperta e si dedica con ostinazione all’ultima occasione che gli si presenta, screditato dagli increduli circoli accademici, per dimostrare che dopo la morte, c’è qualcosa oltre il visibile e l’umanamente comprensibile. Con Noah, il caso che tanto aveva cercato, finalmente gli si presenta. Le risposte ai tanti dubbi e sofferenze le trovano insieme, lo psicologo, Noah e Janie, incontrando la madre di un figlio misteriosamente scomparso otto anni prima. Lasciamo i particolari dell’epilogo alla curiosità dei lettori, un po’ come si fa con un romanzo giallo.In questo caso, lettori di un romanzo molto originale e coinvolgente.

 

 

MUSICA NERA

516bj72ugml-_ac_us218_La Versilia «noir»
di Leonardo Gori
fra delitti e cinismo

Grazia Giordani

Temi civili e politici si intrecciano in un poliziesco mozzafiato

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venerdì 17 febbraio 2017 CULTURA, pagina 44

Ancora un thriller di Leonardo Gori, un autore molto amato dai cultori del genere. «Musica nera» (Tea, pp. 349, 14 euro, con una «Coda» di Marco Vichi) ci porta in Versilia, anno 1967. Mentre lo scenario internazionale è dominato dalla Guerra Fredda e dall’escalation americana in Vietnam, l’Italia si gode i frutti della ripresa economica. Il benessere non è più un sogno irrealizzabile, gli anni della fame e del fascismo sono solo un brutto, lontano ricordo. La 500 e le vacanze al mare sono ormai alla portata di quasi tutti. Nei juke-box impazzano Rocky Roberts, Gianni Morandi e Caterina Caselli.Eppure, lungo il litorale turistico di Viareggio, qualcuno sembra molto distante da questo clima di euforia collettiva. Si tratta di un gruppo di donne in nero che, sul pontile del Cinquale, si ritrova ogni sera per guardare il mare senza sosta, e lo scrutano silenti, misteriose. La stranezza non passa inosservata agli occhi del colonnello dei Carabinieri Bruno Arcieri, venuto al funerale di un vecchio amico, un ufficiale della Marina militare, morto per un’apparente disgrazia in un fosso inquinato, pieno di schiuma. Ma sarà il jazz della sua giovinezza, suonato dalla misteriosa tromba di un musicista che è come emerso dall’abisso del tempo, a condurlo a una trappola mortale a cui sfugge in modo inspiegabile. Gli appassionati dei gialli di Gori, che già hanno apprezzato «L’angelo del fango» (Premio Scerbanenco 2005), solo per citare il capostipite della serie, non si stupiranno per la sagacia di questo detective sui generis, che pure, nonostante il suo proverbiale intuito, fuorviato dal jazz della sua giovinezza, sta per cadere, come dicevamo, in un trabocchetto assassino. Proprio per prenderne reale consapevolezza e scoprire la radice di plurimi omicidi insoluti – una famiglia ebrea massacrata nel 1944, un faccendiere segreto legato ai servizi di Salò, l’equipaggio di un sommergibile colato a picco nel Tirreno – Arcieri condurrà un’indagine privata destinata a fare luce su un’intricata matassa di trame eversive e di interessi personali di efferato cinismo. Ma non è finita qui, perché la sorpresa delle sorprese sarà proprio nell’epilogo del ben congegnato romanzo. L’autore, da sempre è maestro nell’intrecciare temi civili e politici che ancora condizionano la vita d’oggi, plasmandoli in un poliziesco mozzafiato, giocoliere della vera Storia, frammista a quella inventata, dove vero e verosimile si rincorrono, facendoci correre a nostra volta, nella curiosità della lettura. In buona sostanza, potremmo dire, che dalla lettura di questo giallo, fuori dai canoni consueti, traiamo l’impressione di aver viaggiato nella memoria di una generazione che ha ricostruito l’Italia a favore di tutti, ma per il vantaggio di pochi. Si resta impressionati, leggendo questo labirintico noir sociale, dalla capacità di Gori di dosare con preciso acume i vari ingredienti che fanno di un romanzo del genere non solo una trama che si legge premuti dalla curiosità di scoprire il colpevole, ma anche una spinta alla riflessione. E il detective d’eccezione, Bruno Arcieri, inchiesta dopo inchiesta, attraversando i decenni più aggrovigliati del Novecento italiano, ci offre, nel ciclo di romanzi dell’autore, un ritratto vivido e stigmatizzante della realtà in cui viviamo.

 

 

Per Emilia di Giorgio Minotti

IL ROMANZO. «Per Emilia» di Giorgio Minotti

Chopin, il segreto
del «Notturno»
è nella sua famiglia

Grazia Giordani

Il celebre brano era stato dedicato alla sorella, che morì quindicenne

mercoledì 15 febbraio 2017 CULTURA, pagina 44

Sempre più certi che il passaparola sia il miglior mezzo per diffondere un libro, se vale veramente e porta nero su bianco novità, sull’onda di questa convinzione, siamo rimasti deliziati dal romanzo di Giorgio Minotti: «Per Emilia – Casa Chopin e la vocazione per la bellezza» (Zecchini Editore, pp. 152, 17 euro), un delicato giallo musicale che ci ha spinti a riascoltare il «Notturno op. 72 n. 1» del re del pianoforte.L’autore afferma in premessa all’opera: «L’idea di questo libro è nata da una conversazione con un amico musicista che, accogliendo le mie osservazioni sulla coincidenza tra la data della morte di Emilia e quella di composizione del Notturno, unite a una possibile suggestiva lettura dei contenuti musicali, mi ha spinto (quasi “sfidato” direi) a costruire una storia su questa ipotesi».Minotti, psicologo e farmacista di professione, quindi non uomo di lettere nel senso classico della parola, ha scritto quest’opera quasi in forma compulsiva, quasi non potesse staccarsi dall’arcano per cui Fryderyk Chopin scrisse il famoso Notturno di straordinaria bellezza nel 1827, quando aveva 17 anni che, per ragioni sconosciute non diede mai alle stampe. In effetti fu pubblicato solo dopo la sua morte, come Notturno op. 72, n.1, benché fosse evidentemente anteriore ai tre Notturni dell’op. 9, editi nel 1833 a Parigi.Entriamo subito in casa Chopin, un’abitazione piena di musica, allegre risate delle sorelle che raccontano per noi una vicenda toccante, piena di cuore. Risate e lacrime si fondono e confondono in queste pagine scritte con una «levitas» da maestro. Verità e verisimiglianza diventano un tutt’uno, quest’ultima confortata dalle colte note che ci dimostrano come l’autore conosca a fondo la vita e le opere del genio del pianoforte.Nella realtà, il manoscritto del famoso Notturno non è mai stato ritrovato e questo presta il destro all’autore per parlarci della struggente fine di Emilia, la sorella adolescente del compositore, dotata di squisita sensibilità artistica, considerata una promessa della letteratura polacca, stroncata dalla tubercolosi il 10 aprile 1827, non ancora 15enne. Fryderyk lo aveva dunque scritto per lei e poi celato per non far soffrire ancor più madre e sorelle?La protagonista del romanzo è Ludwika, la sorella maggiore, affiancata da Izabela; entrambe depositarie del segreto del Notturno che ci guardiamo bene dal rivelarvi per non guastare la curiosità del lettore che finirà col sentirsi ospite di quella casa grondante musica, a sua volta detective di un mistero che si va pian piano dipanando.Quel che affascina, nel romanzo, è il clima che respiriamo, inseriti fra le componenti femminili di una famiglia che tanto ha amato Fryderyk. Tutte le figure femminili, non ultima la madre Justyna, sono unite, oltre che dall’essere strette parenti, dalla comune vocazione per la Bellezza, altro filo conduttore che sottende la narrazione. Del resto non era stato il grande Dostoevskij a dire che «La bellezza salverà il mondo?». Abbiamo letto un romanzo che ci ha regalato anche un ritratto nuovo del più grande virtuoso del pianoforte, confortato dalla folta bibliografia che l’autore ha consultato, citata alla fine, assieme ai consigli d’ascolto. In attuali anni pieni di brutture, queste pagine sono una carezza al cuore.

 

La Troga

IL LIBRO. La riproposizione di Adelphi
«La troga»: quando
la realtà supera
di molto la fantasia
Grazia Giordani
L’opera di Rugarli è un’istantanea della storia italiana fra anni ’70 e ’90
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lunedì 06 febbraio 2017 CULTURA, pagina 49
Ardita impresa quella di Giampaolo Rugarli (1932-2014) di rappresentare, come in una pièce teatrale, la realtà italiana degli ultimi cinquant’anni. E già il titolo poliedrico ed enigmatico «La troga» (Adelphi, pp.248, euro12), c’incuriosisce e spinge a leggere senza interruzione, queste concitate pagine che, a suo tempo, tanto piacquero anche a Leonardo Sciascia. Che in proposito scrisse: «Nella Troga si intravedono tanti di quegli elementi che appartengono alla storia italiana dell’ultimo mezzo secolo che si finisce col leggerlo come se quella storia appunto fosse stata reinventata in una sfera surreale, metafisica: da sogno, da incubo . . . il lettore ne ha come un senso di sdoppiamento mentre segue con divertimento il vertiginoso ritmo della vicenda “inverosimile” ne va riscontrando nella memoria i particolari “veri”. Democrazia Cristiana, terrorismo, P2, mafie di ogni sorta, sfascio dell’amministrazione giudiziaria, tangenti: tutta la cronaca della corruzione italiana di questi anni confluisce nel libro, vi si amalgama, vi si esalta: con feroce allegria, con allegra ferocia. E i personaggi hanno a momenti i tratti fisici, il linguaggio, i tic di altri che campagne elettorali, scandali, cronache parlamentari e crisi di governo ci hanno fatto ben conoscere». E la vita reale di adesso sembra essere un prosieguo di quanto rileva Sciascia. Nulla è cambiato, se non in peggio.
L’Autore ricorre alla metafora poliziesca, già nell’incipit, del commissario Pantieri, pacifico piccolo borghese che si trova a ricevere una donnetta anziana delirante che lo mette sulle tracce di una fantomatica associazione criminale: la troga, appunto. Nome equivoco e polivalente che può indicare un agglomerato di cose: droga, toga, trota, tregua e via dicendo, scomodando persino l’etimo di verbi greci. Viene sequestrato l’onorevole Lauro Grato Sabbioneta, alter ego immaginario dell’ onorevole Aldo Moro. E da qui si scatena una danza forsennata di agnizioni ed anagrammi che tristemente divertono autore e lettori.
All’autore riesce insperatamente possibile, ricorrendo a giocosi espedienti, narrare le vicende italiane dell’ultimo ventennio, dandoci conto anche di un «Paese orribilmente sporco» (Pasolini), come, a suo avviso, fu l’Italia democristiana.
In effetti, dal1970 al 1990 ne capitarono di tutti i colori, al punto che il romanzesco è superato dalla realtà, in quanto ad attentati, bombe, trame segrete, depistaggi, scandali, corruzioni, sequestri, assassini e non sapremmo più che altro aggiungere.
In questo romanzo, volutamente delirante, la realtà sovrasta di gran lunga la fantasia.
Rugarli è riuscito in pieno a darci una visione dell’inenarrabile cronaca italiana, mantenendo sempre un’ottava sopra, volutamente eccessivo perché in lui il sarcasmo è debordante e sembra sbucargli fuori da tutte le tasche in una ridda che un po’ ci diverte e molto ci preoccupa.
Cantore di uno squallido avvenuto che è ancora in fieri mentre ne parla, ci dimostra, fra l’altro come la politica e la criminalità siano – ahinoi – pervase dalla stessa logica; la lotta politica è faida personale; il terrorismo ha invalidato possibilità rivoluzionarie, l’opposizione è a corto d’idee. E via dicendo lungo questa via lastricata di disperante sfacelo. Mentre L’autore ci parla, nelle parole del libro il martellare di una pioggia costante affligge una Roma sfatta, abitata da extracomunitari, coperta da immondizie. Chiusa la pagina, avremmo voglia di una favola, di qualcosa che ci tiri su, pur sapendo che la realtà è questa. Inutile illuderci.