(segue da "L’eco della montagna")
immagine dal web
Helga
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Helga
Sebbene Helga adorasse la sua montagna e quel delizioso cottage, sobrio, senza ornamenti inutili, in piena sintonia con il suo modo di essere e di intendere la vita, riprendere la sua attività di insegnante, fu un vero toccasana, per aiutarla se non a dimenticare, almeno a superare quel momento difficile. In città fu avvolta da un autunno dolce che la prese dentro in un naturale abbraccio. Il pomeriggio, finita la correzione dei compiti e la quotidiana preparazione delle lezioni – dopo tanti anni era ancora così scrupolosa – le piaceva passeggiare lungo le rive dell’Adige, osservando l’immagine di Castelvecchio nel tremolio dell’acqua, sempre lo stesso, eppure ogni volta diverso, a seconda del rifrangersi della luce. Un po’ come la sua vita – pensava – ritmata dagli stessi orari e dalle medesime occasioni, eppure colorata da vibrazioni mutevoli, causate dai suoi stati d’animo. Possiamo mangiare lo stesso cibo, percorrerere la stessa strada, leggere pagine già conosciute, eppure la monotonia è solo apparente, sta in noi variare il déjà vu con i nostri slanci interiori, se ancora ne abbiamo, se ancora siamo capaci di sognare e di illuderci.
«Forse è proprio la mia apparente piattezza, il mio modo di sembrare troppo uguale a me stessa, senza grilli, senza sbalzi d’umore, che ha finito con l’annoiare Sandro, più estroso. Dopo tante zuppe montanare, avrà trovato chi gli serve l’aragosta…»
Sorrise, nel pensare questo. Ormai era rientrata in Piazza Bra. L’autunno mite le permetteva di sedersi ancora in uno di quei caffè all’aperto, nella buona stagione affollati di turisti che si abbuffavano di monumentali gelati, sovrastati da montagne di panna. Sì, le montagne erano perennemente nel suo immaginario, tanto da usarle anche come figure retoriche, come termini di paragone. E nel prossimo fine settimana sarebbe tornata là a riempirsi gli occhi di quella sinfonia di ocra fulvo che andava a spegnersi dentro l’acqua del lago. Fra un po’ sarebbe stato tempo di castagne, e questo pensiero le procurò una fitta al cuore, ricordando quell’ultima passeggiata, senza Sandro che aveva preferito camminare solo nel bosco.
«Scusami, ma non ho mantenuto la promessa di incontrarti al limitare del bosco, ho preferito camminare dalla parte opposta. Avevo bisogno di restare in compagnia “soltanto” di me stesso.» – le aveva detto, allora, e fu quel “soltanto” lo ricordava bene, a trafiggerle il cuore. Dentro quell’avverbio era già scritto per intero l’annuncio del loro amore agonizzante.
E se avesse reagito con violenza?
E se avesse dato segno di disperazione?
Ognuno di noi è quello che è. E ad Helga sarebbe stato impossibile abbandonare quel suo vestito di dignità che la vita le aveva cucito addosso, imprescindibile, come una seconda pelle.
Si specchiò in una vetrina, gesto nuovo per lei, così poco attenta al suo aspetto. I capelli, ingrigiti alle tempie, erano composti e il lieve strato di lucido, rendeva brillanti le sue labbra, con discrezione. Jeans e giubbotto sportivo erano gli stessi da molti anni, ma non vedeva ragione di scartare indumenti che ancora le stavano bene indosso, così, solo per il gusto capriccioso di cambiare, sedotta dalla moda del momento. Preferiva spendere il suo danaro in abbonamenti a concerti, spettacoli teatrali o per libri di cui aveva la casa ormai stracolma.
«Tutto questo non è sexy» – ridacchiò fra sé.
Eppure, all’inizio, Sandro aveva dato segno di apprezzarla per quello che era, per la sua “essenzialità”, che sembrava apparirgli una dote di rara finezza.
Si sedette ad un tavolo d’angolo, di poco sporgente dal portico, augurandosi che il cameriere si sbrigasse a liberarlo dai bicchieri sporchi e dalla ciotola di arachidi, visitata da un intraprendente passerotto, per nulla preoccupato dalla sua presenza.
Si sentì osservata.
Ci sono sguardi che vanno dentro, oltrepassano la barriera dei nostri vestiti e, non contenti della nostra nudità, penetrano più a fondo, alla ricerca dei nostri pensieri più nascosti, pronti a riportare a galla dolori sopiti, piaghe malamente rimarginate.
Le pupille che la guardavano così apertamente erano scure, sovrastate da sopracciglia folte. Era un bel viso, dai lineamenti regolari, quello dell’uomo dallo sguardo intenso.
«Chissà cosa vedrà di tanto interessante in una donna di mezza età, per nulla vistosa, non certo appariscente…»
«Mi scusi, è lei la proprietaria del cottage prospiciente il lago…»
«Ero rimasta turbata da quel suo guardarmi intenso, adesso la riconosco, lei è il mio nuovo vicino, se di vicinanza si può parlare, visto che a separarci, là è un fitto bosco.»
«Posso prendere posto al suo tavolo? Raramente scendo in città. Sono uno scrittore e la solitudine dei monti ha fatto grande amicizia con la mia penna.»
Restarono per qualche attimo in silenzio, anche se non v’era imbarazzo fra loro, solo la voglia di riposare l’uno nella presenza dell’altra, in un’improvvisa spontanea sintonia.
«Forse è proprio la mia apparente piattezza, il mio modo di sembrare troppo uguale a me stessa, senza grilli, senza sbalzi d’umore, che ha finito con l’annoiare Sandro, più estroso. Dopo tante zuppe montanare, avrà trovato chi gli serve l’aragosta…»
Sorrise, nel pensare questo. Ormai era rientrata in Piazza Bra. L’autunno mite le permetteva di sedersi ancora in uno di quei caffè all’aperto, nella buona stagione affollati di turisti che si abbuffavano di monumentali gelati, sovrastati da montagne di panna. Sì, le montagne erano perennemente nel suo immaginario, tanto da usarle anche come figure retoriche, come termini di paragone. E nel prossimo fine settimana sarebbe tornata là a riempirsi gli occhi di quella sinfonia di ocra fulvo che andava a spegnersi dentro l’acqua del lago. Fra un po’ sarebbe stato tempo di castagne, e questo pensiero le procurò una fitta al cuore, ricordando quell’ultima passeggiata, senza Sandro che aveva preferito camminare solo nel bosco.
«Scusami, ma non ho mantenuto la promessa di incontrarti al limitare del bosco, ho preferito camminare dalla parte opposta. Avevo bisogno di restare in compagnia “soltanto” di me stesso.» – le aveva detto, allora, e fu quel “soltanto” lo ricordava bene, a trafiggerle il cuore. Dentro quell’avverbio era già scritto per intero l’annuncio del loro amore agonizzante.
E se avesse reagito con violenza?
E se avesse dato segno di disperazione?
Ognuno di noi è quello che è. E ad Helga sarebbe stato impossibile abbandonare quel suo vestito di dignità che la vita le aveva cucito addosso, imprescindibile, come una seconda pelle.
Si specchiò in una vetrina, gesto nuovo per lei, così poco attenta al suo aspetto. I capelli, ingrigiti alle tempie, erano composti e il lieve strato di lucido, rendeva brillanti le sue labbra, con discrezione. Jeans e giubbotto sportivo erano gli stessi da molti anni, ma non vedeva ragione di scartare indumenti che ancora le stavano bene indosso, così, solo per il gusto capriccioso di cambiare, sedotta dalla moda del momento. Preferiva spendere il suo danaro in abbonamenti a concerti, spettacoli teatrali o per libri di cui aveva la casa ormai stracolma.
«Tutto questo non è sexy» – ridacchiò fra sé.
Eppure, all’inizio, Sandro aveva dato segno di apprezzarla per quello che era, per la sua “essenzialità”, che sembrava apparirgli una dote di rara finezza.
Si sedette ad un tavolo d’angolo, di poco sporgente dal portico, augurandosi che il cameriere si sbrigasse a liberarlo dai bicchieri sporchi e dalla ciotola di arachidi, visitata da un intraprendente passerotto, per nulla preoccupato dalla sua presenza.
Si sentì osservata.
Ci sono sguardi che vanno dentro, oltrepassano la barriera dei nostri vestiti e, non contenti della nostra nudità, penetrano più a fondo, alla ricerca dei nostri pensieri più nascosti, pronti a riportare a galla dolori sopiti, piaghe malamente rimarginate.
Le pupille che la guardavano così apertamente erano scure, sovrastate da sopracciglia folte. Era un bel viso, dai lineamenti regolari, quello dell’uomo dallo sguardo intenso.
«Chissà cosa vedrà di tanto interessante in una donna di mezza età, per nulla vistosa, non certo appariscente…»
«Mi scusi, è lei la proprietaria del cottage prospiciente il lago…»
«Ero rimasta turbata da quel suo guardarmi intenso, adesso la riconosco, lei è il mio nuovo vicino, se di vicinanza si può parlare, visto che a separarci, là è un fitto bosco.»
«Posso prendere posto al suo tavolo? Raramente scendo in città. Sono uno scrittore e la solitudine dei monti ha fatto grande amicizia con la mia penna.»
Restarono per qualche attimo in silenzio, anche se non v’era imbarazzo fra loro, solo la voglia di riposare l’uno nella presenza dell’altra, in un’improvvisa spontanea sintonia.
Grazia Giordani
Posted by Gardenia on 24 ottobre 2009 at 16:46
Buon fine settimana.
Grazia*
Posted by isabel49 on 24 ottobre 2009 at 17:41
Che bello questo epilogo! E’ quello che speravo per Helga, solo uno scrittore può entrare in sintonia con lei, così amante della lettura, delle riflessioni profonde.
Bella questa continuazione, adoro il tuo stile, cara Grazia, c’è tanta volgarità in giro anche negli scritti… ecco perchè mi piace leggerti, sai unire l’eleganza lessicale all’esposizione interessante.
Buon fine settimana, qui da me piove.
un caro abbraccio
annamaria*
Posted by Gardenia on 24 ottobre 2009 at 21:29
Non è ancora un epilogo, cara Annamaria.
Prima di giungere al traguardo, c’è ancora qualche puntata.
Bacionotte, gentile amica.
g*
Posted by azalearossa1958 on 24 ottobre 2009 at 21:32
A proposito di case… io in quel cottage mi ci ritirerei a vita, accetterei anche gli arresti domiciliari guarda…………….!
Sereno week end,
Giusy
Posted by Gardenia on 24 ottobre 2009 at 21:42
Altrettanto, Giusy.
g*
Posted by ZioNemo on 24 ottobre 2009 at 23:01
Mi sono bevuto tutto d’un fiato questo capitolo…è veamente bello stare in tua compagnia attraverso quanto scrivi…grazie Grazia…
Un sorriso Gino
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 09:59
Sei molto caro, Gino.
Grazie a te.
g*
Posted by cristinabove on 25 ottobre 2009 at 11:01
mi è piaciuto questo non-epilogo, questo sprazzo di speranza per la futura vita di Helga…
forse in molte si domanderanno quale progettualità possa ancora compiersi nella mente e nel cuore di una donna di mezza età…
e di speranza ce ne vuole sempre, altrimenti si muore.
buona domenica
cri*
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 11:09
Certo, cri*
Buona domenica a te, g*
Posted by Wolfghost on 25 ottobre 2009 at 12:24
Caspita, bravissima! Una scrittura molto pulita e senza fronzoli, mi piace
No, non penso che se la protagonista del racconto avesse mostrato disperazione il risultato sarebbe cambiato. E anche in quel caso, sarebbe stato solo protrarre l’agonia del rapporto, perdendo in più la sua dignità.
Ho trovato "poco credibile" solo il finale: non credo che due persone che si siano appena presentate riescano già ad avere quell’assenza di imbarazzo dovuto al silenzio, tipica di due persone già entrate in profonda sintonia, dove le parole possano già mancare.
Posted by romanticaperla on 25 ottobre 2009 at 13:19
Uno scrittore che bell’incontro,chissà che discorsi fantasiosi potevavo emergere tra loro.
Cmq.Helga doveva in un qualche modo cambiare,se non ha cambiato i jeans meglio cambiare uomo.
Posted by romanticaperla on 25 ottobre 2009 at 13:19
Ciao!!
vany
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 13:22
Grazie, Wolf, il tuo giudizio mi lusinga, anche se – dissentendo dalla tua opinione – penso che anche due introversi possano comunicare all’istante, in casi eccezionali, proprio perché attratti dal sottilissimo fil rouge che accomuna la loro introversione; come se sentissero "a naso" la possibilità di comunicare.
Comunque, tu parli da psicologo, uomo d’anime – per così dire – io parlo da donna di lettere, quindi può darsi che tu abbia una visione più reale del vero e io una più letteraria.
Chissà?
g*
P.S. Il raccontino non è ancora finito
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 13:25
In effetti, Vany, Helga – come vedrai nella prossima puntata – sta proprio cercando di seguire il tuo consiglio…
Bacio.
Grazia*
Posted by piergiuseppe on 25 ottobre 2009 at 13:31
Preludio … all’inverno.
:-)*
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 14:12
proprio così, pier* a me molto caro
g*
Posted by lefty333boy on 25 ottobre 2009 at 19:15
Posted by Wolfghost on 25 ottobre 2009 at 20:11
ahahah ma che non fosse finito ne ero sicuro!
Sull’altro aspetto… è vero, è probabile che partiamo da posizioni differenti
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 21:05
Sei tu la causa del pianto, Lefty?
g*
Posted by Gardenia on 25 ottobre 2009 at 21:07
Grazie, Wolf
g*
Posted by anneheche on 1 novembre 2009 at 19:42
Sai prendere per mano il lettore. Leggerti è come stare davanti a un caminetto ad ascoltare una storia.
Posted by Gardenia on 7 novembre 2009 at 20:56
graziegrazie, anne*