Archive for novembre 2017

Alfabeto d’origine

l saggio pubblicato da Neri Pozza

Ecco l’«alfabeto»
al femminile
di 
Lea Melandri

Una «scrittura d’esperienza» per affrontare il linguaggio del corpo

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giovedì 30 novembre 2017 CULTURA, pagina 56

Grazia Giordani Neri Pozza ci propone la lettur

Neri Pozza ci propone la lettura di una complessa silloge di saggi intitolata «Alfabeto d’origine» (pp. 169, euro 16), opera di un’autrice anomala che si stacca da tutti i canoni consueti e che per questo c’incuriosisce pur sollevando in noi qualche perplessità.

Fin dai tempi più antichi la filosofia del linguaggio ha occupato seri studi di filosofi e filologi. Sulla scia del secondo Wittgenstein e delle tesi del grande Martin Heidegger la nuova filosofia del linguaggio nega la natura strumentale dello stesso e lo considera come una condizione originaria dell’umano, come la sua essenza, facendo dipendere fin dall’inizio l’intelligenza umana dalla lingua.

Nell’opera di Lea Melandri incontriamo piuttosto una «scrittura d’esperienza» atta ad interrogare il suo pensiero, il suo radicamento nella memoria del corpo, nelle sedimentazioni profonde che hanno dato forma inconsapevolmente al nostro sentire in quelle zone remote e “innominabili” ove la storia particolarissima di ogni individuo incontra comportamenti umani che sembrano eterni, immodificabili, uguali sotto ogni cielo: passioni elementari, sogni, costruzioni immaginarie, rappresentazioni del mondo, nella sua ottica, riconoscibili in ogni spazio e tempo.

Tra queste vanno a collocarsi le figure del maschio e del femminile che il corso della storia ha modificato ma non al punto da cancellare i tratti della vicenda originaria che ha dato loro volti innegabilmente duraturi.

«Ho scritto per essere raggiunta – precisa la singolare saggista –  ma anche per marcare una distanza, per aprire un varco alla memoria e per consolarmi di averla perduta, per segnalare il bisogno d’amore e per ritenermi paga di averlo trovato per altra via».

La scrittura dell’autrice parte dunque da sommovimenti interni, legata all’autoconoscenza, all’esplorazione di zone che tutti tenderemmo a rimuovere, passioni elementari.  E raccoglie il suggerimento di Asor Rosa ne «L’ultimo paradosso» parlando di frammenti di parole, spezzoni di significato, cristalli di idee-tutto un pulviscolo di immagini e di sensazioni, una vera e propria mineralogia del pensiero, per cui non sembriamo avere, per ora, né classificazioni né definizioni.

In prefazione alla silloge, la  Melandri precisa anche che sebbene apparentemente slegati «i libri raccolti in questo libro hanno una storia che li accomuna e lontane radici in un paese. Parlano di una lingua ritrovata – nei brevi tragitti più autobiografici – di corrispondenze amorose – negli accorpamenti con le voci e le parole di autrici e autori amati – di scrittura di esperienza come tentativo di andare alle radici dell’umano, a partire dai corpi e dai segni che lascia su di essi l’infanzia».

Lea Melandri è nata a Fusignano (Ravenna) nel 1941, vive a Milano dal 1967. Ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Tiene attualmente corsi presso l’Associazione per una Libera Università delle Donne di Milano, di cui è stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987 e di cui oggi è presidente. Prende parte attiva al movimento delle donne negli anni Settanta. Di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le sue numerose pubblicazioni. Nel 2012 ha ricevuto dal Comune di Milano l’Ambrogino d’oro come “teorica femminista”.

Grazia Giordani

Un caffè alle mandorle

LIBRO. Il noir di Nardi, edito da Neri Pozza

Dentro il «Caffè
alle mandorle»
retrogusto di mafia

Grazia Giordani

Il capitano dei carabinieri Perego a Palermo nel ’78: fiction o realtà?

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giovedì 23 novembre 2017 CULTURA, pagina 48

La morte annunciata in questi giorni di una belva chiamata Toto Riina non ci ha arrecato certo dispiacere, anche perché ci offre il destro bello pronto, per parlare di «Un caffè alle mandorle» di Massimiliano Nardi (Neri Pozza, pp.381, euro 18).

Come un’intrigante matrioska, già nel nome dell’autore, questo noir quasi verità, debutta col mistero di un nom de plume, perché lo scrittore si diverte a giocare a nascondino con chi si appresta a leggerlo. In realtà, come si chiama?

Superato questo primo scoglio d’identità, poniamo attenzione all’avvertenza iniziale che sottolinea come: «seppur collocati nel contesto di fatti realmente accaduti, le storie narrate in questo libro sono il frutto della fantasia dell’autore. Il ruolo dei personaggi, delle società, delle organizzazioni dei partiti politici, delle testate giornalistiche, dei programmi radiofonici e televisivi, delle pubbliche amministrazioni e in generale dei soggetti pubblici e privati realmente esist,i è stato liberamente rielaborato e romanzato, così come la partecipazione alle vicende immaginarie dei personaggi inventati dall’autore. Qualsiasi collegamento con persone vissute o viventi, non esplicitamente individuate, è perciò puramente casuale. L’improbabilità degli eventi raccontati in questo libro è la prova che sono veramente accaduti»

Superato il contraddittorio avvertimento, finalmente entriamo nel milieu di una trama cinematografica che ci fa vedere lo splendore e la decadenza di una Sicilia ammaliante. Siamo a Palermo negli ultimi mesi 1978 quando il trentenne capitano dei carabinieri Perego riceve la sua nuova assegnazione, proprio nel momento in cui Anna, la sua giovane moglie, avrebbe più bisogno del suo conforto, essendo in attesa del primo figlio. Ma il capitano non può rinunciare, Palermo lo attira come una sirena col fascino innegabile della capitale di millenario prestigio, con fondali di bellezza ineguagliabile. Pur alla luce dei fatti che la città è diventata, stando ai rapporti interni all’Arma, un vero campo di battaglia tra l’ala moderata della mafia e belve come Riina e Provenzano, latitanti, quasi fantasmi, pur nella loro costante presenza, Perego non demorde. Eppure, è consapevole di avere una visione soprattutto letteraria di questa fascinosa e sfuggente terra. Conosce Sciascia, e poi neanche, perché «Il giorno della civetta» l’ha più visto in film che letto nel romanzo. Però è un giovane sveglio e curioso quanto basta, tanto che appena giunto in città, non si nega una visita al Charleston, l ristorante liberty dove Michele Greco dispensa oboli di ogni tipo per trarre a sé questuanti, oppure una riunione in caserma dove apprende che per il capo della Procura non farsi i fatti propri riguardo le cosche mafiose, significa rovinare l’economia siciliana. Pericoloso cercare di comprendere la natura di Cosa nostra in Sicilia.

Per simpatico contraccolpo, la vita del capitano è allietata dalla nascita di una figlia al Nord, a Pavia, ma le dolcezze private sono presto sconvolte dall’ uccisione di un suo confidente e la morte di Boris Giuliano, colpito vigliaccamente alle spalle.

Un persistente ed enigmatico fil rouge conduce l’intelligente capitano a imbattersi nella figura di Michele Sindona, in fuga da New York e riparato in Sicilia, protetto al punto da sconfiggere il coraggioso Perego trasferito a Roma e quindi al Nord. Ma non è detta l’ultima parola. A Pavia il nostro capitano riceve solleticanti rivelazioni inerenti Sindona, che lasciamo alla curiosità dei lettori, soprattutto a quelli amanti di un buon caffè alla maniera siciliana.

Grazia Giordani

kEYLA LA ROSSA

IL LIBRO. Adelphi pubblica il Nobel I. B. Singer

«Keyla la rossa»
e il lato oscuro
del ghetto ebraico

Grazia Giordani

Un affresco turbinoso della Polonia fra amore, passione e tabù religiosi

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lunedì 13 novembre 2017 CULTURA, pagina 49

Un I. B. Singer fuori dagli schemi quello di «Keyla la rossa», che Adelphi ci propone a cura di Elisabetta Zevi. Traduzione di Marina Morpurgo (pp.280, euro 20).

«Capitava assai raramente che una femmina già passata per tre bordelli si sposasse – scrive l’autore – Era un segno del cielo inviato a tutte le puttane di Varsavia: non dovevano perdere la speranza, l’amore avrebbe continuato a governare il mondo».

A Keyla la rossa nessuno resiste. Il suo primo protettore era stato Itche il Guercio. Ma Yarme,  un seducente avanzo di galera, dopo un solo giorno e una notte con lei, l’aveva portata da un rabbino del quartiere, uno di quelli che non fanno domande, e l’aveva sposata. A Varsavia nel ghetto, in quella via Krochmalna poverissima, incantata e folle, covo di ladri puttane mendicanti, che è la strada in cui Isaac Bashevis Singer visse da quando aveva tre anni.

Alla maliarda rossa non resiste nemmeno il giovane  fervido Bunem – che pure era destinato a diventare rabbino come suo padre – né l’ambiguo Max, tanto per citare alcuni dei sedotti. Se questo splendido libro è rimasto praticamente inedito fino a oggi, forse dipende dal fatto che Singer esitava ad esporre sotto gli occhi dei lettori goy il lato oscuro di quella via della sua infanzia da lui resa un luogo letterariamente mitico. Nel romanzo si parla infatti in modo esplicito di due argomenti tabù:  la tratta a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtelt dell’’Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica, con l’aggiunta più che disdicevole di un ebreo sia etero che omosessuale.

Comunque, a parte queste considerazioni moraleggianti, è proprio l’amore la sostanza incandescente di questo romanzo: l’amore-passione, quello che i francesi chiamerebbero amour fou, quello che non lascia scampo e che può indurre alla follia.

Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti ( e dei numerosi interessanti personaggi minori), fa da sfondo la via brulicante, sporca del ghetto di cui l’autore ha il potere letterario di farci percepire voci e odori come in un film dall’effetto dolby. Da Varsavia a New York godiamo di affreschi possenti, quadri vivi di un’umanità estrema che ci fa azzardare un raffronto con Dostoevskij, insuperato maestro della polifonia letteraria.

Con «Keyla la rossa» – apparso a puntate sul Forverts, il quotidiano yddish di New York, tra il dicembre 1976 e l’ottobre 1977 e finora tradotto solo in ebraico – prende avvio la pubblicazione presso Adelphi di un nucleo essenziale di opere di Isaac Bashevis Singer (1904-1991), premio Nobel per la letteratura nel 1978.

Sottolineiamo una stranezza: Nell’elenco dei Nobel per la letteratura polacca, il nome di I.B.Singer non trova posto. Eppure, l’autore premiato dall’Accademia di Stoccolma nel 1978 e scomparso a Miami nel ’91, è nato a Leoncin, non lontano da Varsavia ed è inoltre cresciuto fra le cittadine di Bilgoraj e Radzymin, ha studiato e lavorato nella capitale ed è vissuto in Polonia sino all’età di trentadue anni prima di trasferirsi negli Stati Uniti. E solo nel ’43 lo scrittore ha acquisito la cittadinanza americana. Sembrerebbe che i polacchi fossero indignati per la rivelazione di custoditi tabù, a detrimento di uno scrittore geniale.