Archive for giugno 2018

MORAVAGINE di Blaise Cendras

Oggi in Arena
 
Il libro L’immaginifico romanzo di Cendras
Il medico e la bestia un viaggio letterario nella schizofrenia.
Una strana coppia deve affrontare peripezie e incontri in mezzo mondo.
 
Grazia Giordani
 
Se amate una lettura immaginifica, concitata, che crei un po’ di controllato spavento, «Moravagine» di Blaise Cendras( 1887-1961),
(Adelphi, pp.249, euro 18, traduzione di Leopoldo Carra) fa per voi. Del resto è risaputo che la raffinata casa editrice di cui sopra, pubblica solo testi di comprovata letteraria bellezza. Quindi, andate sul sicuro.
Pubblicato da Grasset nel1926, dopo una gestazione di una decina d’anni, nel 1956 Cendras ha revisionato, corretto e completato il suo libro con un “Pro domo: Come ho scritto Moravagine”. E una Postfazione.
In un certo senso ci troviamo sotto gli occhi un metalibro, ovvero un libro nel libro, memori di certi film di Truffaut. E ci verrebbe voglia di scomodare anche il nostro Pirandello coi suoi “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Tornando a bomba, il narratore Raymond La Science, presentato come un conoscente di Blaise Cendras (che compare lui stesso nel romanzo) ci racconta come la sua professione di medico gli abbia permesso di incontrare Moravagine, ultimo discendente di una famiglia di appartenenti all’Europa dell’Est in rovina. Questo folle pericoloso è internato per omicidio nella clinica di Waldensee, vicino a Berna. Affascinato dalla personalità di questa grande bestia umana, il medico gli favorisce la fuga. E la strana coppia di cui non è chiaro chi sia il più pazzo dei due, viaggia per il mondo macinando incredibili avventure, frequentando perfino terroristi russi o indiani d’America.
Credevamo fosse Dostoevskij il re del doppio in letteratura, con Cendras il doublage è ancora più complicato perché l’autore stesso si fa addirittura triplo, in una schizofrenia che Freud, redivivo, apprezzerebbe senza dubbio.
Scrittura normalissima, sotto il profilo formale, quindi in netto contrasto con un contenuto tanto tortile e aggrovigliato. Dicotomia tra forma e contenuti rende il romanzo ancora più singolare e ricco di stranezza .
Già difficile nella gestazione, questo parto letterario ha occupato l’Autore tra il 1914 e il 1925, mentre scriveva altri testi paralleli e dissimili. Mai contento, mai soddisfatto, lo ritoccherà più volte, come un pittore dai mille ripensamenti, che ricalca i colori o li alleggerisce, a seconda dell’umore del momento.
Addirittura, nell’ultima versione, presenta il suo libro come definitivamente incompiuto, in quanto privo delle opere a loro volta incomplete di Moravagine, alle quali il romanzo potrebbe avere il compito di semplice – si fa per dire – prefazione.
Tra i modelli di ispirazione di Moravagine, qualcuno azzarda il medico psicanalista Otto Gross, insieme ad Adolf Wolfiti (1864-1930), fortemente schizofrenico e quindi internato nel manicomio di Waldau vicino a Berna.
Autore di un grandissimo numero di opere (pittura, scrittura, musica, è ora conosciuto come uno dei creatori dell’Art Brut, scoperto da Jean Dubuffet. Altri modelli ispiratori si rifanno a Favez, soprannominato Il vampiro di Ropraz, un criminale svizzero che Cendras avrebbe frequentato durante il servizio nell’esercito francese nella Prima Guerra mondiale.

Gli inediti di G.Simoni

Leggendo romanzi gialli siamo abituati a definirli metafici, psicologici, sanguinari, drammatici, ma leggendo quelli di Gianni Simoni non possiamo trattenerci dal definirli “simpatici”, perché simpatico è l’autore e le situazioni che ci propone.

E questo è dunque il caso anche di «La chiave  rubata e altri racconti» ( TEA, pp. 229, euro 14), dove l’Autore si concede il lusso di percorrere la via al contrario – strada che si era concessa già il grande Simenon – ovvero quella,  che sottolinea in prefazione, – di porgerci un libro di racconti che, rimasti nel cassetto, ora trae fuori proprio per noi. Tutti gli autori, o quasi, iniziano dai racconti, ritenuti più facili (ah! Come si sbagliano, basterebbe pensare a Carver per citare uno fra i tanti) e passano poi alle lunghe narrazioni, qualche volta pletorici romanzi, perché se non si è Dostoevskij o Proust o Manzoni,  il lungo narrare finisce con l’annoiarci – e passano poi agli articolati romanzi.

Simoni, che lo faccia di proposito o che gli fossero rimasti nel cassetto, ormai a corto di idee, vi propone questa silloge in cui – dice «la particolarità consiste nel fatto che in alcuni racconti non ci troviamo di fronte a Petri che conosciamo, un ex giudice istruttore che spesso collabora con le forze di Polizia, ma a un Petri più giovane, nel pieno della sua attività di magistrato. Come si potrà rilevare – prosegue l’Autore – i suoi tratti sono però quelli che conosciamo dal carattere non facile, a volte un po’ burbero, volutamente, anche se dotato di ironia e di autoironia».

«Non è un eroe, ma un semplice galantuomo sempre rispettoso della varia umanità con cui viene a contatto anche se non sopporta, pur cercando di non darlo troppo a vedere, coloro che in cuor suo ritiene appartengano alla categoria degli sciocchi o dei furbi. E queste caratteristiche lo seguiranno negli anni, nel rispetto delle regole non potendo però rinunciare a una sorta di pietas che sente verso la vittima, ma in qualche misura anche verso il suo carnefice».

Fregandosene altamente di quanto affermano alcuni critici per cui la buona letteratura non dovrebbe mai essere autobiografica, Simoni  seque la strada contraria a Simenon – che in Maigret vedeva il suo alter ego rovesciato, il nostro ex magistrato va giù diritto, non facendo pedissequa cronaca di casi da lui conosciuti, ma creando una sapiente miscela di vero ed inventato, o meglio di fatti che potrebbero essergli veramente accaduti

E noi divoriamo sei storie inedite, sedendoci fra i personaggi, intimoriti e diverti allo stesso tempo, affascinati dalla vis comica di questo autore che per alcuni versi ci ricorda anche un po’ il Camilleri del Commissario Montalbano. Nord e Sud della nostra difficile Italia, senza dimenticare una spruzzatina belga di quel gigante di Simenon, formano un cocktail gradevolissimo che si beve tutto d’un sorso, conservando un po’ di sete, perché Gianni Simoni, che a suo tempo, si rivelò a noi  con «Il caffè di Sindona», in collaborazione con Giuliano Turone (Garzanti), da  anni per TEA ci ha abituati ai casi dell’ex giudice Petri e del commissario Miceli e delle indagini del commissario Lucchesi, due serie premiate entrambe da un progressivo consenso di pubblico e critica, sempre in aumento.

Grazia Giordani