Archive for marzo 2014

Le muse inquiete del nord

LE MUSE INQUIETE DEL NORD

La mostra della stagione a Rovigo: così fascinazioni scandinave hanno lasciato la loro traccia nella pittura italiana. Il subconscio che diventa figura

Vilhelm Hammershøi: Interiør med siddende kvinde, 1908. Olio

Vilhelm Hammershøi: Interiør med siddende kvinde, 1908. Olio

Rovigo si concede una sola mostra l’anno, ma di crescente e meritato successo. «L’Ossessione Nordica» è partita fortissimo. Apprendiamo dai responsabili della Fondazione Cariparo, che con il Comune e l’Accademia dei Concordi hanno promosso l’esposizione, l’aumento di 5 mila dei frequentatori della mostra aperta lo scorso 22 febbraio a Palazzo Roverella.
Rispetto alla media storica delle mostre rodigine, si conta già un bel raddoppio, superando di molto anche i precedenti migliori risultati registrati dall’esposizione Déco del 2009 e Divisionismo del 2012 che detenevano il primato della frequenza di curiosi ed appassionati.
Una mostra da degustare lentamente, localizzando la propria attenzione in alcuni settori, poiché una visione globale potrebbe frastornarci, ammaliati come restiamo dal soffio di questo vento del Nord che sembra uscire prepotente dalle tele di Arnold Boeklin che ci porta la sua cupa visione della natura, con quei suoi paesaggi notturni immersi nel silenzio, con quella ‹‹Rovina sul mare›› così inquietante e pervasa dall’arcano, segnando profondamente l’esperienza culturale italiana. Furono le prime Biennali veneziane ad occuparsi di questa pittura che indusse la critica di allora a parlare appunto di ‹‹ossessione nordica››, capace di contagiare nomi grandi del panorama nazionale quali il De Chirico premetafisico, con il fratello Savinio, De Carolis, De Maria, Sartorio, Wolf Ferrari.
Siamo assaliti, dopo un visione di paesaggi, fiordi, foreste, popolati di miti e di un simbolismo che c’induce a riflettere sul mistero dell’esistenza, dal desiderio di una sosta in uno spazio più interiorizzato, più intimo, solleticati subito dalla pittura di Wilhelm Hammenrshoi (1864-1916) cantore di un linguaggio artistico estremamente personale.
Apprendiamo molte notizie interessanti sulla vita e le propensioni dell’autore dell’ ‹‹Interno con donna seduta››, non a caso icona della mostra, che si distingue tra le altre tele per quella nota, propria agli scandinavi, di solitudine, silenzio, distanza. Una pittura d’atmosfera rarefatta che quasi ci ipnotizza, come solo l’arte vera, quella che esce dal consueto, è in grado di operare.
E vogliamo saperne di più. Entrare un po’ nella sua vita, perché ci ha ammaliati profondamente. Cosi, apprendiamo che nel 1891 sposa Ida Ilsted che viene spesso inserita nei suoi enigmatici dipinti, colta di spalle. Con lei viaggia in Europa, interessato all’arte del passato, ammira gli interni dei pittori fiamminghi del Seicento (in particolare Jan Vermeer). Trova l’atmosfera nebbiosa e grigia di Londra suggestiva per alcune vedute della città. Gli interni dei suoi quadri sono ripresi dai due appartamenti di Copenaghen, dove conduce la sua vita familiare. La sua visione dell’arte tanto intimista, non ha bisogno di spaziare fuori. E ce ne siamo accorti. Ed è questo che gli regala una misteriosa grazia.
Tra i suoi ammiratori d’epoca ricordiamo Sergej Diagilev e Rainer Maria Rilke. A Parigi partecipa alla Esposizione Universale del 1900 e realizza la sua prima grande antologica a Copenaghen. È presente alla V Biennale di Venezia nel 1903 con il dipinto ‹‹Cinque ritratti››. Nel 1911 vince il primo premio nell’Esposizione Internazionale d’Arte di Roma. Eletto membro del Consiglio dell’Accademia di Copenaghen, muore di cancro nel 1916. Dotato tecnicamente, costruisce i suoi dipinti partendo da una delicata e ridotta gamma di colori, fra cui spicca il marrone e il grigio.
L’artista, come nell’interno su cui stiamo fissando la nostra attenzione qui in mostra, svuota lo spazio, lo priva volutamente di narrazione, raggiungendo una sensazione al ralenti di fatata immobilità. Il suo fascino, quello che ci fa sostare così a lungo davanti alla sua tela, consiste proprio nell’intimismo minimalista degli spazi domestici che ha indotto i critici a definirlo ‹‹il poeta del silenzio››. La luce che filtra dalle finestre o dalle porte socchiuse si fa protagonista dell’intera narrazione pittorica.
Come spesso è accaduto ai grandi, celebri in vita, obliati dopo la morte, anche Hammershoi, sta riprendendo fama, con l’iniziativa della mostra rodigina e del curatore Giandomenico Romanelli che ripropone capolavori estratti dalle passate Biennali Veneziane. Speriamo questa chance possa toccare anche ad altri artisti immeritatamente dimenticati.

Grazia Giordani

 

Andorra

Il Peter Cameron degli esordi già imprevedibile

Lo Staterello è spostato in mare e fuoriluogo sono anche gli attori

Peter Cameron

Peter Cameron

Chi ha apprezzato Quella sera dorata o Coral Glyn, per citare due fra gli originali romanzi di Peter Cameron, troverà interessante anche Andorra (Adelphi, 236 pagine, 18 euro, traduzione di Giuseppina Oneto): pur appartenendo alle opere iniziali di Cameron, risulta molto accattivante, non solo per la trama coinvolgente e il finale imprevedibile, ma anche e soprattutto perché questo autore non finirà mai di sorprenderci.
Protagonista dell’azione è un quasi Mattia Pascal americano. Si chiama Alexander Fox e ha deciso di lasciarsi tutto il passato alle spalle, recandosi nel minuscolo Stato di Andorra arroccato sui Pirenei. Innanzi tutto, perché il travisamento geografico, o meglio il trasporto di questo Stato montano, che nel romanzo è un’isola in mezzo al mare?
Probabilmente l’estroso Cameron ha voluto giocare un po’ con noi lettori, regalando una allure metafisica alla vicenda; oppure gli è parso opportuno aggiungere una nota in più al suo concerto di stranezze, creando una realtà sbilenca che lega molto con la sua scrittura capace di creare suspense, di pagina in pagina.
Il protagonista, fuggiasco da se stesso, racconta sempre cose differenti ai personaggi che incontra man mano durante la sua permanenza nell’isola. Probabilmente (ma sarà vero?) ha gestito una libreria antiquaria a San Francisco, ha avuto e non ha più una moglie e una piccola figlia. Scende dal treno proveniente da Parigi con l’intenzione di crearsi una nuova esistenza a La Plata. Prende stanza nel più lussuoso albergo della piccola capitale, un antico edificio, pieno di vecchi libri, e qui incontra la veneranda proprietaria. S’innamora della vista di cui può godere dalla sua stanza in cima alla torretta e fin dal primo incontro, fa amicizia con un’affascinante signora australiana, molto intraprendente, quindi anche con il di lei consorte, démi-gay.
In seguito, il bell’Alexander fa colpo anche su i Quay, la famiglia più importante di questo strano luogo che sembra essere abitato soprattutto da sradicati. Prende in affitto da loro un grazioso nido, molto pittoresco, in carattere con la stranezza del luogo e di tutto quello che va accadendo, e prova attrazione — dopo aver avuto un’ardente liaison con l’australiana — per una delle sorelle Quay, una trentottenne nubile e non proprio irresistibile, dotata però della grazia della compostezza e di sensibilità. Come a dire, l’esatto opposto dell’australiana.
A questo punto, ci scappa il morto (a dire il vero più morti) e il nostro viene tenuto d’occhio: gli confiscano il passaporto e la vicenda si fa sempre più aggrovigliata e penosa per il protagonista. I colpi di scena si susseguono irresistibili e il finale è il vero tocco di bravura che stupirà più che mai l’incuriosito lettore.

Grazia Giordani