Archive for marzo 2003

Domani, la sesta puntata di Duetto in http://percival.splinder.it

 

(Costume)

 

HGH: LA RIVOLUZIONE CHE AIUTA A FERMARE IL TEMPO

 

Che sia proprio vero? Sembra che l’HGH, (Human growth hormone), il più potente medicinale anti-età sia in grado di fermare il tempo, dicendo stop alle rughe, ai rilassamenti cutanei, aumentando i muscoli, ridonando energia, eccetera eccetera.

Qualcuno lo ha addirittura battezzato «il farmaco che apre una nuova prospettiva di vita». Infatti non dobbiamo dimenticare che sotto questi elisir di lunga vita, sotto questi rimedi miracolistici che promettono all’uomo eterna vitalità giovanile, sia nell’aspetto che nella mente, si nasconde l’ansia umana di esorcizzare la morte, per lo meno ritardandola il più possibile, allontanandone i segni premonitori.

Con l’ormone della crescita i ricercatori americani sperano dunque di spostare l’orologio biologico di tutti noi, obbligando le lancette a fare dietro front.

Internet offre molti siti per reperire cliniche specializzate che propongono la terapia, società che vendono l’ormone anche on-line sotto forma di pastiglie e forum tenuti da endocrinologi per discutere sulla sua efficacia.

Ricordate i miracoli promessi dalla melatonina e dal Dhea? Promessi e pallidamente mantenuti, possiamo dire, visto che non incontriamo nessun “ottantenne giovinetto” e visto soprattutto che le donne terrificate dal ruit hora, se proprio vogliono veramente fermarla questa inesorabile “ora”, questo tempo che insulta la loro bellezza, devono rivolgersi alla complicità del bisturi chirurgico.

Adesso è la volta di un altro prodigio promesso da un ormone prodotto naturalmente dall’organismo. La trovata sarebbe dunque quella di somministrare una sostanza presente agli albori della crescita del corpo umano, ma che svanisce man mano che ci facciamo adulti, dato che i processi di invecchiamento coincidono con la diminuzione di questo prezioso secreto ormonale. Il rimedio consisterebbe quindi nel provocare l’aumento delle concentrazione dell’HGH. Questo prodotto dell’ipofisi viene liberato soprattutto nelle ore notturne, lo si conosce dal 1921, ma solo all’inizio degli anni Novanta si è cominciato ad usarlo nella terapia anti-invecchiamento. Purtroppo non esistono ancora ricerche sugli effetti di un suo uso prolungato. Si somministra con piccole iniezioni sottocutanee. Negli Stati Uniti è disponibile in gocce o in pillole; il farmaco è ottenuto con tecniche di ingegneria genetica. In Italia viene venduto in fiale al costo di 90 mila lire l’una; una fiala basta per una cura di 8-12 giorni, poiché viene cautelativamente somministrato in piccole dosi.

Non va comunque dimenticato che non esiste un unico perno, un unico ormone su cui ruota tutto il funzionamento dell’organismo umano. L’invecchiamento è il risultato di una serie complessa di processi. Non basta una sola sostanza a bloccare l’orologio biologico degli esseri umani, anche se i risultati delle ricerche finora condotte sono a dir poco sorprendenti: la massa muscolare dei soggetti sottoposti a somministrazione di HGH è aumentata in media dell’8,8 per cento, quella adiposa è scesa del 14,4 per cento, lo spessore cutaneo è cresciuto del 7,1 per cento, la densità ossea dell’1,6 per cento e anche il volume di fegato e milza si è incrementato. Inoltre – assicurano gli scienziati fautori dell’ormone della crescita – i pazienti trattati hanno dimostrato una vitalità e un’energia assente nei soggetti non sottoposti alla terapia. In sintesi: questo ormone del miracolo irrobustisce la muscolatura, aiuta a perdere il tessuto grasso e a scolpire il corpo meglio di interventi di chirurgia estetica. Inoltre – sempre a quanto assicurano gli addetti ai lavori -, svolge un’azione decisiva nella prevenzione e nella cura di molte malattie legate all’età, come l’osteoporosi (spauracchio delle donne in età menopausale), l’arteriosclerosi, l’infarto. Dicono abbassi i livelli di colesterolo e rinforzi il sistema immunitario, migliorando molte delle funzioni organiche tendenti a logorarsi con il passare degli anni.

È l’abbassarsi del livello dell’HGH che crea un progressivo declino della funzionalità di molti dei nostri organi e tessuti. Ecco perché gli scienziati hanno deciso di sopperire somministrando artificialmente l’ormone a chi dimostra di esserne carente.

In Italia è disponibile sotto forma di iniezioni sottocutanee da distribuire in diverse parti del corpo: addome, glutei, cosce, braccia. Negli Stati Uniti sono già in commercio preparati da assumere per via orale. L’assunzione deve essere giornaliera e continuativa per sei mesi; il farmaco deve essere somministrato in piccole dosi e a pazienti selezionati, per evitare eventuali rischi collaterali. Teoricamente potrebbe essere prescritto a tutte le persone sane dai quarant’anni in poi.

Per aumentare i livelli dell’ormone potrebbe bastare anche una corretta alimentazione, l’uso di integratori a base di aminoacidi (arginina, lisina ecc.) e una corretta attività fisica: la concentrazione dell’ HGH nel sangue aumenta già dopo 10 minuti di sport.

Sì alla frutta fresca e alla verdura, no a troppi prodotti ottenuti con la farina bianca o la frutta secca. Le proteine e i lipidi vanno integrate nella dieta, meglio evitare cibi troppo grassi.

Nessuno potrebbe negare che la terapia anti-età a base di HGH è una forte tentazione.

Chi non sarebbe felice di liberarsi dalle rughe, dagli inestetismi procurati dal tempo, rinvigorendo l’organismo, aumentandogli il desiderio sessuale, migliorando il tono muscolare e combattendo il rischi di infarto?

Ma è una terapia veramente esente da rischi?

Altri scienziati obiettano che le ricerche sono state finora condotte solo su soggetti in cui è stata accertata una reale carenza dell’ormone, non indiscriminatamente su tutti gli individui. Questa cura, inoltre – obiettano gli scettici – riduce effettivamente le rughe, ma aumenta contemporaneamente la ritenzione idrica, con il rischio di procurare dei veri e propri edemi. E va detto che esperimenti sugli animali hanno dimostrato che alti livelli di HGH sono associati non a una lunga, ma a una breve aspettativa di vita.

Qualcuno dei non entusiasti (naturalmente ci riferiamo sempre ad uomini di scienza) parla anche di un aumento di nefrosclerosi e di ipertrofia prostatica; qualche volta pare che l’ormone suppletivo abbia indotto il diabete mellito e che addirittua abbia favorito la proliferazione delle cellule tumorali.

Non si può dunque affrontare il problema dell’invecchiamento con un approccio parziale, forzando una macchina così complessa come quella dell’organismo umano.

Abbandoniamo allora la golosa prospettiva di tornare tutti ventenni “miracolati” e seguiamo una strada naturale: esercizio fisico ragionevole e ragionato, una dieta equilibrata e impariamo ad invecchiare con filosofia: l’ormone dell’immortalità non è stato ancora inventato.

(g.g.)

Alleluja! Ho riavuto accesso al mio caro blog e tutto è tornato alla normalità, grazie a Splinder che si è attivato a rimediare all’inconveniente.

Riassunto delle puntate precedenti

Flavio e Giuditta si sono conosciuti, in età giovanile, durante le vacanze estive al mare. Si innamorano – lei studentessa liceale, lui iscritto a giurisprudenza – le loro vite prendono corsi differenti, con reciproci matrimoni diversi. Si rincontrano fortuitamente in tribunale, dove lui, avvocato già affermato, difende un cliente. L’incontro è fatale; il sentimento si risveglia prepotente. Flavio la invita a seguirlo a Parigi, inviandole il biglietto dell’aereo, come per metterla davanti al fatto compiuto. Errore tattico da parte dell’avvocato troppo sicuro di sé e del suo charme. Giuditta, ricordando le passate umiliazioni,ferita dalla sua troppa sicurezza, gli rinvia il biglietto al mittente. Flavio, le telefona implorando di essere capito e perdonato, ed è talmente convincente che Giuditta parte con lui per la ville lumière e prendono alloggio in un delizioso alberghetto a Montmartre, un vero nido d’amore.

Duetto5

Gli accordi erano stati: «stanze separate», e Flavio venne ad un sottile compromesso. Una suite con stanze comunicanti, gli sembrò la soluzione più opportuna. Entrambi si ritirarono nella propria camera a disfare i bagagli. Durante il viaggio in aereo e poi in taxi e quindi in ascensore, il rubacuori di un tempo, seppe comportarsi con una delicatezza nuova, che non gli era propria, non sappiamo bene se spinto da naturale ravvedimento o dal desiderio di riconquistare Giuditta a tutti i costi.

Era presto per la cena.

Decisero di vagare un po’ per la magica città.

«Speriamo non mi faccia fare una cura di musei e biblioteche -, pensava fra sé l’irrequieto avvocato che mai aveva penato tanto per avere una donna, in vita sua – Cara, forse domani vorrai prenotare per il Louvre, o per la Gare d’Orsay che Gae Aulenti ha saputo mirabilmente mutare in elegantissima pinacoteca degli Impressionisti – le disse, a voce alta, con gli accenti morbidi che teneva in serbo per le grandi occasioni.»

«Gireremo dove l’umore ci porta» – rispose lei, uscendo sorridente dalla penombra della sua stanza, con quell’incedere morbido, nonchalante, della donna che il fascino lo porta dentro, come una fiamma racchiusa, che gli insulti del tempo sembrano quasi impreziosire, come se gli esiti del vissuto, sul volto e in tutta la sua persona, l’avessero umanizzata, fatta scendere a terra, resa più vera.

Flavio aveva conosciuto donne più avvenenti per perfezione esteriore, ma nessuna aveva avuto quel quid difficile a descriversi, quel “non so ché” da bollicine di champagne nella bocca dello stomaco, e ora la giovinezza perduta riprendeva il suo nuovo canto, con voce vibrante di una dolcezza a lui prima preclusa.

Tenendosi per mano, risero per cose futili, come due studenti in vacanza, ridendo per le vecchiette con buffi cappellini, per i turisti giapponesi formato tascabile, per gli orribili ritratti, opera di pittori da quattro soldi, pronti a ritrarli all’istante, cercando di evitare gli escrementi di cane che lordavano i marciapiedi (mai visti così tanti in vita loro!) pensando che questa nota antiromantica regalava “quotidianità” a quel loro momento, togliendo un po’di magia, forse, ma aggiungendo realtà, ritorno con i piedi per terra, piedi da sollevare al momento opportuno, se non volevano combinare malanni…

«Dicono che porti guadagno!»

«Meglio restar poveri, soprattutto se arricchiti dai sentimenti ritrovati»

«Non esserne troppo sicuro!»

Cenarono in un ristorantino delizioso, lungo una Senna solcata da bateaux mouche, gremiti di turisti vocianti, portati lì da un tassista calabrese che parlava una lingua simpaticissima, quasi incomprensibile, ma festosa, fatta di suoni, quasi ideogrammi fonici, dalle molteplici interpretazioni.

Frutti di mare rubati l’uno dal piatto dell’altra, con la medesima forchetta, complice e maliziosa, nell’introdursi alternativamente nelle loro bocche, piene di pregustate aspettative, annaffiati da un vino secco che metteva allegria, fu la loro cena condita da un estenuante languore.

Vi era qualcosa di sensualmente crudele (o di astutamente predisposto?) in quel continuo rinviare, da ragazzi per il candore di lei, ritrovatisi adulti in riva al mare, per le balzane esitazioni di lui, e ora perché non sapevano ancora se la suite avrebbe continuato a tenere le loro notti separate, o se finalmente li avrebbe appassionatamente uniti

Venne l’ora di chiamare a casa. Ancora non erano stati inventati i cellulari.

Nella voce di Stefano si sentiva un fondo di inquietudine che comunicò ansia a Giuditta. Il torneo di bridge non stava dando i soliti vittoriosi frutti, quindi se fosse finito prima del previsto, Stefano avrebbe potuto raggiungerla a Parigi e restare con lei, fino alla fine dei suoi impegni «nel mondo del libro.»

Proprio così si espresse, quasi a sottolineare, un mondo solo suo, dove a lui era difficile entrare.

Elisabetta fu laconica ed ineffabile come sempre, abituata alle distrazioni coniugali, rassegnata i suoi ruoli secondari nella vita in comune.

Passeggiarono lungo la Senna, immalinconiti, il momento magico di prima stava sbiadendo, la tensione, quella che fa brillare gli occhi, asciugare la gola, tendere il corpo tutto, totalmente vibrante, stava lasciando il posto a una complicità tenera, amicale, nuova, quasi rassegnata…

Continua domani in http://percival.splinder.it

Una macchia

 Ci credereste? Lo so che fate fatica a crederci, ma un momento di eros sia pure involontario, e certamente da me non voluto, può nascere anche da una macchia. Sì, da uno spruzzo di salsa rossa dentro cui nuotavano saporiti polipetti, adagiati sopra un canapè di polenta fumante.

Partecipavamo all’annuale cena promossa dall’Associazione della Stampa, mio marito ed io, e – al momento dell’antipasto – un mio gesto maldestro, ha spinto la forchetta contro il bordo del piatto, con le conseguenze di cui sopra. Premuroso, il consorte, ha dato di piglio a un fazzoletto intriso di acqua minerale e si è messo a strofinare la purpurea macchia caduta proprio al centro del mio petto, provocando una istantanea trasparenza sulla seta “rigatina” della mia camicetta di Armani, nuova di zecca.

La seta è più che mai ammiccante, per le trasparenze, e – attraverso la parte bagnata – ai miei dirimpettai era così possibile adocchiare  una porzione generosa della corsetteria, di quella parte, insomma, del mio abbigliamento che normalmente se ne sta buona buona sotto il vestito.

Per un certo tempo del pasto, ho visto i commensali di fronte seguire la fase dell’asciugatura, abbastanza rapida , devo dire, creandomi qualche imbarazzo.

«Potevo tenermi la macchia!» – pensavo tra me e me.

«Che simpatica macchia!» – ha detto a fior di labbra, uno dei miei dirimpettai più disinvolti.

E ho avuto timore, ad asciugatura finita, che mi spruzzasse a bella posta un po’ di sugo ancora dal suo piatto, affinché si ripetesse l’operazione…

Mi sono regalata un vaso di gardenie…

(Costume)

FIGLIO MIO QUANTO MI COSTI

Qualcuno si è messo a dire che la famiglia italiana ricopre in maniera discreta e silente – nella maggior parte dei casi – il ruolo di «ammortizzatore sociale», mantenendo a caro prezzo milioni di giovani disoccupati, mentre lo Stato sta a guardare inerte e magari aumenta anche le tasse.

I figli, insomma, non sono soltanto piezzi ‘e core, come direbbero i nostri fratelli partenopei, ma anche costose tessere di quel mosaico che fa essere la Famiglia italiana un’istituzione assistenziale, l’unica anzi, in costante espansione. A darci autorevole conferma è l’Istat – l’istituto centrale di statistica – che si è occupato dei giovani che non volano fuori dal nido e vi restano, spesso, finché giovani non sono più. E la percentuale di questo anomalo fenomeno aumenta al punto che oggi sei giovani su dieci (tra i 18 e  i 34 anni) continuano a vivere sotto il tetto paterno. E ad usufruire – senza contribuire in nessun modo –  di tutti i servizi (luce, telefono, riscaldamento, lavanderia, abbigliamento, libri, svaghi, vacanze e, non ultima, la ristorazione), in proporzione, e talvolta in sproporzione, alle possibilità familiari.

Il favoloso Nord-Est sembra essere la zona principe del fenomeno. Quindi anche noi, cauti polesani – magari in punta di piedi – ci siamo dentro e contribuiamo a dare il nostro “obolo” alla statistica, non proprio fra le più lodevoli e da prendersi a modello di costume. Affetti ed economia, nei canoni della tradizione, sembra cospirino ad alimentare questo fenomeno di eterni cuccioli fuori età. CI sono sociologi che sostengono essere il doppio lavoro del padre a far quadrare i conti di casa. Sembra che i bi-occupati siano dei competitori eccezionali sul mercato del lavoro, producendo il 15 per cento del prodotto interno lordo dell’Italia e una parte di questa ricchezza va quindi a ripianare l’economia familiare.

La rivista Polis (edita da Il Mulino) pubblica una ricerca accurata sui «costi dei figli», da cui risulta che una famiglia senza prole, con una spesa mensile di 3,1 milioni e che volesse mantenere il suo tenore di vita con un bambino, dovrebbe disporre di 940 mila  lire in più al mese. Se poi si passa ad esaminare il caso di un ragazzo di età superiore ai 6 anni, si arriva all’aggiunta di 1 milione e 375 mila lire, quasi un terzo dell’intera spesa di una famiglia senza figli. La situazione peggiora con l’aumento dell’età dei figli, perché per mantenere due ragazzi al di sopra dei 14 anni – sottolineano economisti esperti in materia – si oltrepassano i 3 milioni di spesa mensile.

Come farà il metalmeccanico o colui che guadagna ai limiti dell’indigenza? Certo non è stato contemplato dall’Istat che gli è passato vicino senza vederlo.

La decisione di mettere al mondo o meno discendenti, finisce col diventare una scelta prevalentemente di tipo economico. A quanto asseriscono i ricercatori di Polis, i figli in Italia costano ben più di quanto non avvenga in altri Paesi industrializzati. E i costi appaiono in ulteriore crescita.

L’indagine ha separato le spese «vive» (pannolini, cibo, libri scolastici, vestiario) dai cosiddetti «costi opportunità», ovvero i mancati guadagni da lavoro legati alla presenza del figlio e hanno cercato di sommare costi e benefici sia monetari che non. Hanno inoltre annotato come un vantaggio dalla presenza in casa dei figli possa venire dall’eventuale contributo al bilancio familiare e dalle sovvenzioni pubbliche (assegni familiari e sgravi fiscali). Hanno tenuto conto persino del fatto che i genitori modificano il loro stile di vita riducendo le attività di consumo legate alla vita sociale che conducevano precedentemente e – nel caso degli uomini – aumentando le attività lavorative. Il risultato più evidente è che i costi sono sostenuti soprattutto dalle madri che dedicano il loro tempo libero al bambino e rinunciano a guadagni più consistenti e soprattutto alla carriera.

Parte dei ricercatori attribuisce la causa del decremento delle nascite italiane all’alto costo del mantenimento della prole e alla prospettiva della «assistenza» prolungata fino ai 30 e passa anni. Non tutti i tecnici del problema attribuiscono però il motivo della denatalità a cause «economiche». La dirigente di ricerche Istat  Linda Laura Sabbadini propone il caso dei giovani operai del Nord-Est che nelle famiglie monoreddito non solo non rappresentano un costo, ma sono addirittura decisivi per contribuire al livello di vita delle rispettive famiglie e alla prosperità della piccola azienda paterna. DI bebè se ne fanno pochi non nel timore di «proletarizzarsi» (classe operaia del secolo scorso), ma perché «gli italiani danno al figlio un alto valore simbolico».

La nostra organizzazione scolastica non ci aiuta certo a far volare i rampolli fuori dal nido; noi non abbiamo i college degli americani e nemmeno la splendida città universitaria che si può ammirare a Madrid.

Se la tendenza a fare dei figli degli eterni cuccioli ha un costo elevato per la famiglia con cui i giovani abitano, non dobbiamo dimenticare la presenza anche di un costo sociale perché ritardano la presa di coscienza dell’importanza della dimensione economica  e di quanto sia arduo sbarcare il lunario, dandosi da fare per guadagnare onestamente i quattrini. Attingere alle tasche dei genitori cancella quella sana voglia di darsi da fare, di mettersi alla prova per «monetizzarsi» e autogestirsi.

Sembra inoltre che la storia occupazionale sia profondamente segnata dalla tradizione familiare (Sei figlio di un dentista? Papà ti cederà trapano e tenaglie. Di un avvocato? Lo studio di famiglia ti attende. E così via). È stato inoltre calcolato che se si ha un papà impiegato direttivo, la probabilità anche per il figlio di diventarlo cresce del 7 per cento, proprio perché il nostro (ahinoi!) sembra essere un Paese sempre più a bassa mobilità sociale e sempre più organizzato per caste e corporazioni, vere e proprie lobbies che tendono ad impedire l’entrata di sangue nuovo nelle vene dei loro corpi consolidati. Questo è un problema gravissimo, tanto grave da scoraggiare i giovani che tentano il concorso di abilitazione per alcune professioni, ed è un problema soltanto nostrano che affonda le radici nell’humus del nostro Bel Paese.

(g.g.)  

Il racconto a quattro mani Duetto continua oggi con la quarta puntata in http://percival.splinder.it