Il cinismo va coniugato con grazia al femminile
SPREZZATURA. Un repertorio di casi c(l)inici
Somerset Maugham, «uno dei primi nella fila dei secondi». Però un indiscusso campione nel narrare i vizi altrui, specie delle donne
Uno dei primi nella fila dei secondi, secondo la celebre autodefinizione, William Somerset Maugham (Parigi, 1874-Nizza 1965) primeggia però in una cosa: il cinismo. L’autore è famoso per il pessimismo acre e freddo e l’ironia crudele con cui stigmatizzava i vizi e le stranezze degli uomini, in particolare delle donne, in una visione del mondo cupa. Noto soprattutto per l’opera autobiografica (continuamente ristampata) Schiavo d’amore, e quindi per Il filo del rasoio, Il velo dipinto e Pioggia, solo per citare alcuni fra i tanti libri di successo, Maugham fa ora di nuovo la sua comparsa in libreria con Storie ciniche (Adelphi, 221 pagine, 16 euro, traduzione di Vanni Bianconi). Scrittore e commediografo britannico pur essendo nato in terra francese, Maugham non ha mai smesso di interessare critica e lettori. I suoi romanzi hanno avuto, quasi tutti, celebri versioni filmiche con grandi attori e registi d’epoca. Per confermarci nell’opinione inerente la sua flagellante ironia, basterebbe ricordare quanto usava dire: «Deve essere un mio difetto, ma i peccati altrui non mi scandalizzano, sempre che non mi riguardino personalmente». Eppure, leggendolo con smaliziata cura, non tardiamo ad accorgerci che dentro al suo leggendario disprezzo vibra una nota di addolorata autoironia, strettamente confinante con la compassione, sentimento che dai critici gli è stato quasi sempre negato. L’infanzia difficile, la precoce morte dei genitori, il passaggio dalla Francia all’Inghilterra con le correlate difficoltà linguistiche, possono essere state le cause concomitanti del suo proverbiale cinismo che ritroviamo anche nella presente raccolta, seppur ammorbidito da una specie di comprensione, quasi solidarietà con le debolezze umane. Sono undici racconti quelli delle Storie ciniche, che si spingono divertiti, divertendoci, dentro l’apparenza e la realtà, i pettegolezzi, l’invecchiamento, l’illusione di attempate signore che sposano ragazzini; un vero carosello di strampalata umanità. Il nostro insaziabile viaggiatore spazia da una bettola di Vladivostok al bel mondo della Costa Azzurra, e il suo occhio spietato mette a nudo con sublime cattiveria, o anche con dissimulata compassione, intime tragedie e abissali fallimenti di un pittoresco campionario umano: impostori di lungo corso, madri efferate, coniugi assassini – tutti in balìa della casualità della vita e della cecità delle passioni. Come Elizabeth, «una giocatrice d’azzardo, una scialacquatrice e una donna lasciva»; o come Morton che, tornato in Inghilterra, si sentiva più solo che nella giungla. L’IMPRESSIONE, addentrandosi nella lettura, è che i personaggi siano tanto più veri in quanto tratti dalla sua vita multiforme di medico, scrittore, drammaturgo e agente segreto. Da una miscela di esperienze così composita, sull’onda di viaggi dalla Russia, al Mediterraneo, senza dimenticare l’insidioso Oriente, il bisturi del suo spirito d’osservazione si fa sempre più spietato, presentandoci una Louise, sedicente eterna malata, che in realtà seppellisce fior di mariti, sacrificando l’unica figlia. E poi una Jane, universalmente ritenuta insulsa, che diventa una pericolosa seduttrice, perché lo sguardo dell’autore si bea del paradosso, dell’inaspettato, dell’imprevedibile. Forse il più crudele dei racconti è Prima della festa. Siamo in un inamidato e convenzionale salotto dove la sfiorita Millicent non dimostra sufficiente dolore per la morte del suo Harold, parrebbe stroncato da una febbre tropicale mentre la coppia viveva a Kuala Solor, in Oriente. Lasciamo alla curiosità dei lettori lo svolgersi cruento della vicenda, con epilogo a sorpresa, non potendo tacere, nel contempo, la poesia con cui lo scrittore descrive quei luoghi esotici, con penna squisita. Negli undici racconti non abbiamo che l’imbarazzo della scelta nel pianeta donna, così tanto esecrato dall’autore, incontrando rappresentanti del mondo femminile capaci di essere spregiudicate, senza perdere l’onestà. In queste pagine incontriamo il dramma dell’invecchiamento, il potere del denaro, la fatuità della vita d’alto bordo, attempate signore che sposano ragazzini, altre che s’illudono di poterli sposare. Siamo stupiti da impostori schiavizzati dalle proprie bugie cui finiscono per credere. Le figure femminili sono protagoniste, così libere, spietate, sorprendenti, orientate con cinismo verso la concretezza della vita. E non possiamo negare che spesso siano spiritose senza saperlo, perché il loro involontario umorismo è proprio l’autore a rivelarcelo.
Grazia Giordani