Alla riscoperta del buon vino del Signor Weston

IL LIBRO. Adelphi ripropone Theodore Powys

Alla riscoperta
del buon vino
del signor Weston

Grazia Giordani

L’horror metafisico di uno scrittore che gioca la sua trama sull’allegoria

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venerdì 28 luglio 2017 CULTURA, pagina 45

Una delle lodevoli iniziative di Adelphi è certamente quella di ridare luce a scrittori e ad opere letterarie che altrimenti sarebbero rimasti sepolti dentro la polvere dell’oblio. E questo è il caso di «Il buon vino del Signor Weston» ( pp.286, euro22,  traduzione di Gianni Pannofino) di Theodore F. Powys (1875-1953), un romanziere e scrittore a breve storia britannica, meglio ricordato per il suo romanzo allegorico di cui stiamo trattando, dove Weston, il mercante di vino è evidentemente Dio. Del resto, figlio di un reverendo, questo strano autore, subì una forte cultura biblica che si riscontra e ripercuote nella sua scrittura. E vanta belle penne di famiglia, tra cui il poeta William Cowper . Dunque, Powys sentì profondamente la voce biblica, anche se in maniera sui generis, non convenzionale, godendo di una particolare affinità con gli scrittori del XVII e del XVIII secolo, tra cui John Bunyan, Cervantes, Jonathan Swift, Thomas Hardy e in fine più in là nel tempo, Sigmund Freud, Friedrich Nietzsche, solo per citarne alcuni fra i tanti.

L’incipit de «Il buon vino del signor Weston» già ci prepara ad una realtà fatata, sovrannaturale. Un pomeriggio di fine novembre del 1923 un vecchio furgoncino Ford con a bordo due uomini fa il suo ingresso in un piccolo villaggio della campagna inglese, seguito dall’apparizione in cielo di una grande scritta luminosa, indicante appunto il titolo del romanzo. Si crea subito un clima al di sopra del reale. Nella locanda al centro del villaggio, dove gli uomini si ritrovavano ogni sera intorno al fuoco «come miti piante carnivore», il vecchio orologio a pendolo si ferma e un inspiegabile senso di attesa si diffonde fra gli ignari e malvagi abitanti, accompagnato solo dal vago presentimento «che sarebbe successo qualcosa: come se di lì a breve «la vacca zoppa stesse per partorire un vitello a sei zampe».

Tom Burt è un personaggio che non resiste alla tentazione di spiare dentro il vecchio furgoncino Ford. «Spostò il telo alle spalle del signor Weston e sbirciò dentro, ma l’esito immediato della sua curiosità fu quanto mai allarmante; Tom cadde all’indietro e, rialzatosi alla meglio, si mise a correre più veloce che poté verso casa, senza smettere un attimo di strillare per la paura e l’orrore. Qualunque cosa avesse visto, evidentemente voleva starne alla larga, e le sue compagne, vedendolo fuggire così in fetta, furono prese dalla sua stessa paura e corsero via anche loro».

Tutti si chiedono in paese da dove vengano quei due stranieri dall’aria familiare e vorrebbero sapere che cosa si nasconda all’interno del furgone e che cosa siano venuti a vendere.

Inutile sottolineare che, procedendo nella lettura di questo sorprendente horror metafisico, anche noi vorremmo subito sapere, ma l’autore ci centellina le sorprese, quasi con bonaria perfidia.

Questo tipo di scrittura non può essere riassunta, il mistero va degustato fino all’ultima pagina. Con questo romanzo del 1927, da molti considerato il suo capolavoro, Powys sembra essere riuscito a condensare più che in ogni altro suo libro – protetto dal suo personalissimo humour di pece- la qualità essenziale del Male: impedire al Bene di essere riconosciuto.

E se un giorno davvero l’Eternità arrivasse, potremmo star certi, secondo l’ironico autore, che nessuno ci farebbe caso.

Grazia Giordani

 

3 responses to this post.

  1. Horror metafisico

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  2. ho l’impressione che il testo non si adatti a me. Solo sensazioni.
    Un abbraccio
    GP

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  3. Forse hai ragione, GP
    Abbraccio sempre g.

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