I fratelli Rico

Ma Simenon è grande pure all’americana

Si ha l’impressione che l’autore voglia provare a far senza Maigret La prova gli è riuscita bene

Georges Simenon

Georges Simenon

Con I fratelli Rico (Adelphi, 172 pagine, 18 euro, traduzione di Marina Di Leo) si ha l’impressione che Georges Simenon voglia quasi dimostrare a se stesso e ai suoi lettori di saper scrivere un romanzo d’ambientazione mafiosa, sul genere dei suoi colleghi americani, probabilmente suggestionato anche dal luogo in cui si trovava, Lakeville (Connecticut).
Simenon non delude i suoi appassionati, anche se la loro preferenza corre alle sue opere d’impronta belga o francese, Il romanzo, pubblicato nel 1952, ebbe grande successo, tanto che nel 1958 uscì nelle sale cinematografiche il film The Brothers Rico (i diritti se li erano contesi ben tre produttori, e alla fine era stato William Goetz a spuntarla), con Richard Conte nel ruolo principale. Eddie, il primogenito — detto il Ragioniere, per la sua pignoleria nell’attenersi alle regole — Gino, il fratello di mezzo — killer naturale del gruppo, per la prontezza con cui sa sparare — e Toni, il minore e il più bello dei tre, formano un terzetto di malavitosi d’origine italiana, cresciuti nelle strade di Brooklyn, dove hanno cominciato, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, a lavorare per l’ «organizzazione».
Sulle prime, Tony si limita a guidare le macchine, Gino è pronto col dito sul grilletto, mentre Eddie diventa rapidamente un piccolo boss. Il maggiore dei fratelli Rico abita in Florida, «dove il sole sorgeva in modo repentino, non c’era l’alba», in una bella casa nuova, di un candore luminoso, da lui denominata Sea Breeze, Brezza di mare. È felice, al fianco di un moglie innamorata e premurosa e di tre belle figlie. Controlla il settore del Golfo del Messico e tutti lo rispettano, dai gestori delle sale da gioco agli sceriffi.
Quando le cose sembrano filare lisce, nel consueto trantran mafioso, arriva una lettera da parte della madre a creargli inquietudine. «Venerdì scorso è passato a trovarmi Gino, aveva l’aria stanca».
Non solo la situazione di Gino, che pare sia costretto ad espatriare, ma anche e ancor più quella di Toni, ammogliatosi alla chetichella con una lituana, sembra preoccupare fortemente la madre, stando alla sua lettera sibillina.
Per una serie di circostanze c’era il fondato sospetto che Tony avesse intenzione di collaborare con la polizia — visto che tanti pezzi da novanta all’improvviso dimostrano interesse a sapere dove si nasconda — e la cosa avrebbe costituito una minaccia per l’intera organizzazione gestita dal boss Sid Kubik nella quale lavoravano i fratelli Rico. Eddie era un impiegato di fiducia all’interno della cosca criminale, rispettosissimo delle regole, «non per paura, come la maggior parte degli altri, ma perché capiva che era indispensabile».
Eddie è dunque un gangster che non si è mai sporcato le mani di sangue, ma che diverrà consapevole, seppure nella sua distorta ottica, di esser diventato innocente strumento di morte.
Si legge d’un fiato questo thriller, avvincente per l’inquietante clima d’attesa e per il senso dell’inevitabile dramma che sa creare.
Grazia Giordani

3 responses to this post.

  1. Sempre grande Simenon

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  2. Dovrò decidermi a leggere un Simenon orfano di Maigret. Ne ho uno cominciato ma non pregreedisce. Questo sembra buono. Ci farò un pensierino
    Felice serata
    Un abbraccio
    Gian Paolo

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  3. Sì, deciditi, G.P.
    Grande abbraccio.
    g

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