Margini di Zena Roncada recensito in ARENA

 

Roncada dà identità e vita agli uomini senza storia

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  • Che un editore si accorga del web per traslocare nel mondo cartaceo scrittori di valore, forse non è cosa comune. Eppure, a Zena Roncada è successo in questi giorni col suo Margini – Storie di donne e di uomini senza storia (Pentàgora, 170 pagine, 12 euro, a cura di Lucia Saetta). Vestita da una copertina di buon gusto, allusiva, senza troppo rivelare, questa silloge di quarantasei racconti brevi come respiri intensi e profondi, ci porta nel clima di un Novecento rivierasco d’antan, dove nel Po della Bassa mantovana sembrano riflettersi le vite di personaggi marginali che quasi costeggiano l’esistenza.

Scandita in quattro sezioni – Mappe di terra, di fiume e di cielo; Il tempo delle formiche sula tavola; Orti, corti e cortili e Amori e spose – la narrazione c’incanta per originalità del lessico ablativo, ellittico, pieno di ritmata poesia, che sarebbe piaciuto ad Emily Dickinson, ricco di traslati, di impressioni accennate e più lasciate immaginare che dette, pervaso da una musicalità che si fa canto di esistenziali malinconie. Una lingua onomatopeica – quella della Roncada – incline a riportarci il suono della vita anche in civetterie ortografiche, in un impasto lessicale che attinge a lingua classica e dialetto, accennando persino al latino di cui è stata per lunghi anni insegnate.
L’autrice stessa rivela: «La campagna ha le sue dolcezze e le sue crudeltà: è risorsa e maledizione insieme, perché impone tempi, modi, ritmi. Fatica. (…) Ho vissuto in una grande famiglia piena di donne, al centro una zia sarta che usava la cucina come laboratorio collettivo e l’ingresso come sala prove per le clienti». E queste figure di donna ce le ritroviamo quasi in un immenso girotondo, pieno di cuore e di innocenti malizie, tra cui spiccano, oltre alle zie, la nonna, la madre, in un vero affresco al femminile. Molto spazio è dato anche al padre, nel consueto stile sussurrato di chi ama la musica in sordina, il «Signor G» – come lo chiama la figlia – sindacalista che ebbe determinante impatto sociale negli anni delle rivendicazioni agrarie a sostegno dei braccianti.

Grazia Giordani

5 responses to this post.

  1. Non riesco a postare correttamente la foto

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  2. Un libro che non ha bisogno di commenti, verrebbe da dire. Storie vive quelle raccontate da Zena, che fanno rivivere un mondo, sono storie di paese, tutte lì, lungo il fiume, snidano ciuffi d’erba (tutto un discorso si potrebbe aprire sulla vegetazione, così come sui nomi, il lessico …), profumano di libertà, di voglia di essere, di un mondo raccolto, caldo, piccoli mondi dentro ad altri piccoli mondi, raccontati con naturalezza, senza forzare la mano, lasciando sempre la porta aperta alla speranza.
    Come non concordare con la tua recensione, Grazia 🙂
    A domenica
    edoardo

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  3. Veramente pregevole è il tuo commento a questo libro. Un ottimo viatico per un libro che avrà successo.
    Quando scrivi qualcosa su un libro, difficilmente si riesce a resistere alle sirene. Si deve correre in libreria a comprarlo.
    Felice serata
    Un grande abbraccio
    Gian Paolo

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  4. Contraccambio l’abbraccio, inorgoglita dalle tue parole, G.P.
    g

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